venerdì 8 giugno 2012

Memoria, oblio e storia: 1a parte


Memoria, oblio e storia: prima parte


“Gli storici assolvono il compito professionale di ricordare ai loro concittadini ciò che questi desiderano dimenticare.” (Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve, tr. it. Milano, Rizzoli, 1995, p. 128; a proposito della riscoperta, negli anni ‘80 e ‘90, del liberismo, sebbene questo abbia dimostrato, secondo Hobsbawm, la sua inefficacia teorica e pratica durante la Grande crisi degli anni Trenta).
Lo storico inglese Eric J. Hobsbawm

È davvero così? È questo il compito degli storici? E, soprattutto, è giusto obbligare a ricordare quel che si desidera dimenticare?

mercoledì 6 giugno 2012

Contorsionismi di oggi: gli italiani, Berlusconi, la Lega, Grillo


Contorsionismi di oggi: gli italiani, Berlusconi, la Lega, Grillo


“Gratta un italiano e troverai un trombone pronto a intonarsi a qualunque fanfara purché faccia molto rumore.” (Paul Valery)


Fino allo scorso anno in Italia era possibile incontrare molte persone che si dichiaravano ammaliate da Berlusconi e per questo lo votavano. Con quali argomenti? Questi, più o meno: “è un uomo vincente, basta vedere quel che ha fatto negli affari. Mentre i politici italiani cosa hanno saputo fare? Solo tenersi attaccati alla propria poltrona senza mai lavorare!”; “è un uomo nuovo, non il solito ammuffito personaggio della politica!”; “è un uomo che viene dalla società civile, è come noi, uno che sgobba, rischia il proprio denaro e produce ricchezza!”; “è uno che dice quel pensa, su tutto, anche sulle donne: ben venga uno che parla chiaro!”. Ci sono persino coloro che hanno visto nel Cavaliere un esempio di bellezza e di fascino latino. Quando si è innamorati, come si sa, si è ciechi.

lunedì 4 giugno 2012

Contorsionismi degli anni Trenta: i socialisti francesi e Hitler

Contorsionismi degli anni Trenta: i socialisti francesi e Hitler


“Un tiranno può essere eletto per suffragio universale ed essere non meno tiranno per questo” (Alain [pseud. di Emile-Auguste Chartier], Eléments d’une doctrine radicale, Paris, 1925, cit. in H. Stuart Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, tr. it. Torino, Einaudi, 1967, p. 270)

Racconta il saggista statunitense Paul Berman (in Terrore e liberalismo, Einaudi, Torino 2004) che negli anni Trenta, in Francia, il Partito socialista era diviso in fazioni. Leon Blum, che tra 1936 e 1937 era stato Presidente del Consiglio, rappresentava la corrente moderata; Paul Faure rappresentava la corrente più radicale che godeva di un notevole seguito e consenso tra le masse popolari: poiché era avversa alla guerra, tale corrente era denominata “pacifista”.

Leon Blum
Quando tra 1936 e 1938 Hitler cominciò a minacciare, e poi a realizzare, la militarizzazione della Renania, l’annessione dell’Austria, l’occupazione dei Sudeti, Blum ne rimase spaventato e prese ad opporsi al nazismo e a sostenere la necessità di prepararsi alla guerra contro la Germania. Faure invece non voleva la guerra, era pacifista e sosteneva che in fin dei conti la Germania era stata trattata ingiustamente dopo la prima guerra mondiale, perciò ora i tedeschi stavano davvero soffrendo, come diceva Hitler nella sua propaganda, e ciò era colpa delle potenze democratiche e capitaliste, come l’Inghilterra e la Francia. Per Faure e per i suoi seguaci non era Hitler la vera minaccia per la pace, anzi secondo loro i tedeschi meritavano ascolto e le richieste di Hitler erano da considerarsi, in fin dei conti, ragionevoli: bastava un po’ di flessibilità e di disponibilità a dialogare con il nazismo e la pace sarebbe stata salvata. La vera minaccia, secondo Faure, veniva dai guerrafondai capitalisti, dalla grande finanza, dalle banche che avevano tutto da guadagnare dallo scoppio di una guerra grazie al commercio delle armi. Non era Hitler la vera minaccia: a meno che non lo si volesse considerare un pazzo. Ma com’era possibile, diceva Faure nei suoi comizi, che milioni di tedeschi avevano prestato ascolto ad un pazzo? Il fatto che Hitler fosse ben voluto e seguito da milioni di tedeschi, soprattutto dai giovani, dimostrava che non era possibile che fosse un pazzo. C’era della ragione in ciò che diceva, e occorreva ascoltarlo.

Chi è Tersite? Presentazione del blog


Chi è Tersite? 

È un personaggio dell’Iliade, introdotto da Omero nel II canto, descritto dal poeta come brutto, deforme, repellente: “parlator petulante”, “di scurrili indigeste dicerie pieno il cerebro”
(canto II, vv. 274-278). Tersite (il cui nome significa letteralmente “lo sfrontato”) si rende colpevole di lesa maestà, perché ha offeso Agamennone nel bel mezzo di un discorso che il re greco stava tenendo per saggiare il morale delle sue truppe durante la guerra di Troia. L’orrido gobbo Tersite accusa pubblicamente Agamennone di essere avido, corrotto, egoista; di aver trascinato un popolo in guerra solo per assecondare il suo desiderio di ricchezza e la sua lussuria: “d’auro hai fame” (c. II, v. 298), “cerchi schiava giovinetta a cui mescolarti” (c. II, vv. 302-303) urla Tersite in faccia al re, davanti a tutti i soldati stupefatti. Addirittura incita questi a ribellarsi al re, a levar le tende e a far vela verso casa; li provoca chiamandoli “donnette” (“Achive, non Achei!”), li spinge a disertare, a non seguire Agamennone nella sua guerra egoistica: “Oh vili, oh infami, oh Achive, non Achei! Facciamo vela una volta; e qui costui si lasci, qui lui solo a smaltir la sua ricchezza…” (c. II, vv. 305-308). Finché non arriva Ulisse che lo percuote “sulle terga […] e le spalle” (c. II, vv. 343-344), facendogli “la schiena rubiconda” (c. II, v. 347), e lo costringe al silenzio, in mezzo all’ilarità della truppa.




Eppure Tersite ha detto di Agamennone ciò che nel canto precedente anche Achille aveva sostenuto. Quando Agamennone pretese per sé Briseide, la prigioniera che era stata assegnata ad Achille, questi inveì contro il re, lo chiamò “anima invereconda, anima avara” (canto I, v. 199); e più avanti: “svergognato”, “brutal ceffo”(c. I, vv. 210 e 212). Se non fosse intervenuta Atena a fermargli la mano, il Pelìde avrebbe tratto la spada e l’avrebbe immersa nel seno dell’Atride (c. I, vv. 251-264). Convinto dalla dea a non “trar brando” e a “contendere” con il re solo parole, Achille aveva ripreso la sua furiosa arringa e assalito ancora Agamennone con queste frasi: “tu non osi giammai nelle battaglie dar dentro colla turba; o negli agguati perigliarti co’ primi infra gli Achei, ché ogni rischio t’è morte” (c. I, vv. 300-303). Insomma, gli aveva dato pure del vigliacco (“cane agli sguardi e cervo al core”: coraggioso in apparenza, codardo in fondo al cuore). Parole, queste di Achille, assai più dure di quelle usate da Tersite. Ma Achille viene ascoltato e le sue giuste ire lasciano il segno, perché egli è un eroe, è bello e buono, secondo l’ideale greco della kalokagathìa; mentre Tersite, volgare, brutto e deforme, pur dicendo le stesse cose viene percosso e ridicolizzato.

Come scrisse anni fa Ferdinando Adornato sulla rivista Liberal (marzo 1996) “la verità di Achille è nella storia, quella di Tersite nella strada. Achille è capo. Tersite è popolo. Onore al primo, disprezzo al secondo.” Adornato concludeva così: “Può la cultura democratica far propria questa mitologia?”. Senza pretendere di ricavare dalla figura di Tersite un monito in difesa della democrazia, mi limito a vedere in questo personaggio l’antieroe che osserva le “cose del mondo” da una prospettiva insolita: quella di chi non frequenta i salotti buoni del potere e dell’intellighenzia alla moda.

Dalla strada della periferia le cose del mondo appaiono diverse: diverse rispetto a come sembrano a chi le guarda dal centro del mondo, laddove vengono prodotti i significati ufficiali che dovrebbero dare un senso a quelle cose. Dalla periferia, dal mondo opaco della provincia ciò che viene creato e diffuso dal centro appare meno luccicante e più sbiadito.

Buona lettura!



“Il mondo è un sistema di cose invisibili manifestate visibilmente.” (Joseph de Maistre, Le serate di Pietroburgo, 1821, tr. it. Milano, Rusconi, 1971)