venerdì 29 giugno 2012

Ancora sull'esame di Stato


DELLA "LIBERTA' DI COPIARE"


Marcello Dei insegna Sociologia dell’educazione all’Università di Urbino. Collabora con la rivista Il Mulino (rivistailmulino.it) e con l’omonima casa editrice bolognese ha pubblicato alcuni libri sulla scuola italiana (ad esempio: La scuola in Italia, nel 2007, e la recente nuova edizione di questo volume che ha come sottotitolo Radiografia di un sistema scolastico). Lo scorso anno ha fatto molto discutere il suo Ragazzi, si copia. A lezione di imbroglio nelle scuole italiane (Il Mulino, Bologna 2001), basato su un’indagine statistica dei comportamenti e delle idee di studenti, genitori e insegnanti italiani.


Oggetto dell’indagine, come si comprende dal titolo, è la cosiddetta libertà di copiare a scuola. Ne vien fuori un panorama allarmante e sconfortante: secondo l’autore non solo in Italia copiano un po’ tutti (figli di borghesi come di operai, studenti del Nord come del Sud), non solo questa attività viene tollerata, giustificata e non di rado incoraggiata dagli adulti, ma essa non lascia alcun rimorso in chi la compie. Tra gli studenti di tutti gli ordini di scuola, infatti, la pratica del copiare viene giudicata con indulgenza e quasi tutti si rifiutano di considerarla una “truffa”: il numero di coloro che giustificano la pratica (quasi l’84% degli studenti delle superiori) è addirittura superiore al numero di coloro che dichiarano di copiare (il 63,9% degli studenti delle superiori).

Se questi dati sono veri, e non ho alcun motivo per non ritenerli tali, c’è da credere che anche durante gli esami di Stato la pratica del copiare sia non solo utilizzata (ogni persona di buon senso sa che è così…), ma persino incentivata dagli adulti. Si dirà: è così ovunque, anche nei paesi più civili del nostro. Risponderò: sì e no. Sì, poiché anche negli Stati Uniti, come lo stesso Dei ricorda nel suo libro, gli studenti dichiarano di copiare; no, perché la questione, in quel paese, sta sollevando un grande allarme sociale e gli adulti, genitori e insegnanti, si dicono molto preoccupati. Ecco, è questo che manca da noi: l’allarme sociale. Pochi in Italia hanno sollevato la questione con forza: tra gli altri, oltre a Marcello Dei, va ricordato il Gruppo di Firenze (gruppodifirenze.blogspot.it). Senza arrivare al punto di auspicare che il copiare venga sanzionato come un qualsiasi reato (come sembra che avvenga in alcuni paesi), in Italia potrebbero almeno discuterne gli addetti ai lavori, cioè gli insegnanti; invece non solo non ne discutono, ma in non pochi casi li ho sentiti giustificare la pratica anche se avviene durante l’esame di Stato, anzi, ancora di più se avviene durante questo.

Il ragionamento di costoro è più o meno il seguente: “l’esame è una presa in giro, tanto vale comportarsi di conseguenza, cioè truffare”. Credo che a ciascun insegnante che abbia almeno 5 anni di servizio nella scuola italiana sia capitato di incontrare colleghi che fanno una o più delle seguenti cose: coprire chi copia durante le prove scritte d’esame, comunicare le domande o gli argomenti della terza prova scritta (il cosiddetto “quizzone”) prima del suo svolgimento, informare gli studenti sulle domande che gli verranno rivolte durante il colloquio orale… Anche in questo caso, come in quello di cui parlavo ieri, è molto probabile che nel produrre questi atteggiamenti giochi un ruolo importante il narcisismo di qualche insegnante: mostrare che i “propri” studenti hanno raggiunto valutazioni elevate fa brillare di luce riflessa anche il docente che li ha preparati.

Ma la questione più importante è un’altra: l’insegnamento che gli studenti ricavano da questi comportamenti è devastante. Perché, d’ora in poi, tutto ciò che lo Stato e le leggi chiederanno a quei giovani come cittadini dovrebbe essere da loro eseguito? Perché mai, dal momento che proprio coloro che per primi dovrebbero osservare quelle norme (i docenti) non le rispettano? Perché osservare le leggi, pagare le tasse, non truffare il prossimo, svolgere il proprio dovere se tanto, prima o poi, si troverà un compiacente funzionario pubblico che ci incoraggerà a trasgredire?
L’aspetto più grave della questione è che dietro le motivazioni di quegli insegnanti, come di molti altri adulti, c’è sempre una motivazione politica: l’esame – essi dicono - è mal fatto per colpa dei politici; la società è corrotta per colpa dei politici; l’accesso al lavoro e alle carriere è nelle mani di qualche lobby organizzata se non addirittura della mafia, e così via. Perciò, per difendersi da questo disfacimento nazionale, la “truffa” viene presentata come una sorta di autodifesa politica, una sorta di ribellione ad un sistema putrefatto e non più modificabile. La truffa e il furto diventerebbero così dei surrogati (all’italiana) della vecchia rivoluzione proletaria.

È chiaro a tutti, credo, che queste motivazioni nelle mani degli studenti diventano dei facili alibi per giustificare la pratica del copiare. E, come dicevo prima, l’effetto educativo è devastante: i nostri giovani non capiranno mai, in tal modo, che il rispetto della legalità è e deve essere precedente, in uno Stato di diritto, ad ogni ideologia politica, ad ogni giustificazione partigiana del proprio comportamento. Non esiste più legalità, in quello Stato di diritto, se ogni cittadino può disporre a proprio piacimento di alibi ideologici e politici per violare la legge. Ci stupiamo, poi, che in Italia percepiscano le pensioni di invalidità i falsi ciechi o che vi siano centinaia di migliaia di evasori fiscali che la fanno franca? Con gli esempi che arrivano ai giovani dagli adulti che dovrebbero educarli, questo risultato è il minimo che possiamo attenderci da loro: piccoli evasori crescono.



mercoledì 27 giugno 2012

Sull'Esame di Stato.


Delle idee che circolano sull’esame di Stato.
Prima idea: “il curriculum dello studente vale più delle prove d’esame”


Innanzitutto chiedo scusa ai miei “venticinque lettori” per non aver pubblicato nulla negli ultimi giorni. Gli impegni dell’esame di Stato mi hanno completamente assorbito, lasciandomi poco tempo e, confesso, pochissime energie per occuparmi del blog. L’esame non è ancora terminato, ma oggi, recuperate un po’ di forze (poche: sono un bradipo, non dimenticatelo), ho trovato il tempo per tornare a scrivere. Avvio con questo post una riflessione sull’esame di Stato, come avevo promesso, che durerà per qualche giorno (non di più) e si concluderà con un sondaggio sull’utilità dello stesso.

Secondo un’idea molto diffusa, l’esame di Stato non può giudicare in modo negativo un candidato presentato dalla scuola con buoni voti. È un’idea che trova sostegno in una larga parte dell’opinione pubblica, secondo la quale gli studenti che hanno preso voti bassi all’esame pur avendo avuto voti alti durante il curriculum avrebbero “subito un’ingiustizia”. Ho ormai abbastanza esperienza di esami per poter affermare che questa idea è diffusa presso la totalità degli studenti e gran parte dei loro genitori. Non solo: trova un certo credito tra gli stessi insegnanti esaminatori.

Il ragionamento di tutti costoro è il seguente: se uno studente nell’anno scolastico è stato valutato bene, che so, in italiano, non può essere valutato in modo insufficiente nella prova scritta di italiano dell’esame, anche se l’ha svolta in modo palesemente negativo. Gli esaminatori che condividono questo ragionamento talvolta accettano anche il pensiero opposto, ovvero: “se l’insegnante ha valutato il candidato Rossi con la sufficienza, chi sono io per dargli un voto più alto?”.

Non voglio dire che non esista anche il commissario giustiziere, cioè colui che, altrettanto programmaticamente, affossa i candidati ribaltando le valutazioni assegnategli durante l’anno scolastico. Un comportamento che, se perseguito in modo sistematico e programmatico, si può forse spiegare con il narcisismo del commissario stesso che, in tal modo, pretende di dimostrare la propria bravura e di mettere in risalto l’ignoranza o l’incapacità dell’insegnante che ha valutato lo studente. Non nego che nella scuola vi siano insegnanti narcisisti e che l’esame di Stato sia un’occasione d’oro per costoro. Tuttavia questa tipologia di commissari, sebbene sia diffusa, mi sembra meno dannosa rispetto all’altra categoria.

Infatti, il commissario che non valuta come dovrebbe la singola prova d’esame, perché si lascia programmaticamente influenzare dal curriculum dello studente, rende del tutto vano il proprio operato di esaminatore e assesta all’esame di Stato un colpo mortale. Che senso ha esaminare migliaia di studenti se il giudizio che conta davvero sulla loro preparazione è quello già espresso dai consigli di classe al termine dell’anno scolastico? Assolutamente nessun senso. Non ha senso mettere in moto una macchina burocratica del peso di una flotta di jumbojet, per ribadire un giudizio già espresso.

Tanto più che l’esame di Stato ha un costo, e in questo periodo, come sa ogni persona di buon senso, sprecare denaro per un rito inutile non è un comportamento saggio. Facciamo un po’ di contabilità. Secondo il Decreto interministeriale del 24 maggio 2007, valido anche per gli esami del corrente anno scolastico, un commissario esterno costa all’amministrazione 911 euro lordi; uno interno 399; un presidente di commissione 1249. A tali compensi vanno poi aggiunte le somme correlate alla distanza del luogo di residenza o di servizio dalla sede d’esame, somme variabili, in ragione del tempo necessario per coprire tale distanza con i mezzi pubblici, dai 171 ai 2270 euro (quest’ultima somma è, per la verità, una chimera, poiché riguarda solo chi deve viaggiare per oltre 100 minuti: cosa che l’amministrazione cerca di evitare accuratamente nel momento dell’assegnazione delle nomine).

Intendiamoci, non sono cifre enormi, tutt’altro: il lavoro dell’esaminatore è faticoso e interminabile; le giornate di correzione degli elaborati possono durare anche 10-12 ore, trascorse mangiando un tramezzino in locali dove spesso la temperatura raggiunge i 35 gradi; il compenso medio percepito da un commissario esterno, al netto delle imposte e comprensivo del viaggio, è di circa 700 euro, per circa 100-120 ore di lavoro, insomma la sua tariffa oraria oscilla tra i 6 e i 7 euro. Tuttavia, se si moltiplicano questi importi per il numero delle commissioni d’esame costituite dal Miur sul territorio nazionale (circa 10 mila) si ottiene una cifra di diverse decine di milioni di euro: denaro che in passato è stato spesso anticipato dalle scuole e che il Ministero in gran parte non ha più restituito ad esse. Nella spesa per l’esame vanno poi considerate le fotocopie, la cancelleria, l’elettricità e quant’altro serva per farlo funzionare. In conclusione, si tratta di una spesa non trascurabile che, in clima di spending review, potrebbe essere inserita tra le voci da tagliare, data l’inutilità della prova che essa finanzia.

Ripeto: se l’esame deve essere una semplice ratifica del risultato scolastico, tanto vale non farlo. Del resto i numeri parlano da soli: lo scorso anno all’esame di Stato sono stati promossi quasi tutti i candidati (solo l’1% è stato respinto). È vero che la selezione, come disse allora il Ministro Gelmini, era già stata fatta dai consigli di classe che avevano deciso la non ammissione del 5,3 % degli studenti, ma la questione non cambia, anzi alla luce di questo dato diviene ancora più evidente: se il grosso degli studenti da bocciare viene fermato dagli scrutini ordinari, mentre una piccolissima parte è fermata dalle commissioni d’esame, questa è una ragione in più per dire che l’esame di Stato non fa che ribadire risultati già decisi. In nessun esame che si rispetti viene promossa la totalità dei candidati; se questo accade vuol dire che quell’esame non serve per l’assegnazione del titolo che esso dovrebbe attribuire, poiché quel titolo è già posseduto dalla totalità degli esaminati ancora prima di venire sottoposti alle prove.
L'ex Ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini