martedì 17 luglio 2012

Giovani e giovanilismo dal punto di vista storico


GIOVANI E GIOVANILISMO: 
QUANDO SI E’ INIZIATO A PARLARNE?



1a PARTE: Dal futurismo ai teddy boys

 Nel momento in cui i giovani diventano un problema, nel momento in cui la cultura comincia ad occuparsene nascono le “ideologie giovaniliste”. Da quel momento, queste ideologie hanno fornito diverse immagini della gioventù e diverse idee sul ruolo che i giovani dovrebbero avere nella società. Da quale momento accade tutto ciò? Da quando i giovani divengono un problema?

È nel corso del Novecento che i giovani divengono un problema. Prima di allora, essere giovane corrispondeva ad una fascia di età, una dimensione anagrafica da superare rapidamente per non tardare l’assunzione delle responsabilità dell’adulto. Certo, gioventù è sempre stata sinonimo di energia e di freschezza, di vitalità e di speranza; ma prima del Novecento era anche sinonimo di dipendenza, di assenza di libertà e di poca autonomia nelle scelte. Ogni individuo, una volta divenuto adulto, ricordava l’età giovanile con nostalgia, ma non pensava che essa potesse stare sullo stesso piano dell’indipendenza e della libertà dell’età adulta. Dal Novecento in poi, invece, il giovane diviene sempre più indipendente e conquista sempre più libertà, rendendo così invidiabile la sua condizione da parte di chi non è giovane. Così i giovani diventano oggetto di attenzione della cultura, del potere, dei movimenti politici, dell’industria dei consumi. E quella del giovane diviene una condizione esistenziale, poiché per la società contemporanea si può essere giovani per tutta la vita, indipendentemente dall’età.
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944),
 uno dei primi "giovanilisti"

È così che nel Novecento nasce l’ideologia giovanilista: pur nella diversità delle proposte che i vari giovanilismi avanzeranno, essi avranno in comune un atteggiamento di benevola condiscendenza o di aperto sostegno nei confronti di tutto ciò che viene rivendicato e proposto dai giovani che, per il fatto stesso di essere giovane, merita di essere affermato e appoggiato. Atteggiamento, questo, che trova sostegno nelle ideologie politiche, ma anche nell’opportunismo e nel conformismo culturale.
Il numero di Le Figaro in cui venne pubblicato
 il Manifesto del futurismo

Nell’Italia del primo Novecento attraversata dai fermenti delle avanguardie culturali, come il futurismo, giovinezza è sinonimo di modernità e di velocità: qualità esibite polemicamente contro ciò che è giudicato passato e vecchio, per opporsi alla società costituta e sostenere il rinnovamento. Entusiasmo, tecnologia, brivido della velocità sono ad esempio i requisiti della giovinezza del Manifesto del futurismo di Marinetti (1909); il nuovo canone di bellezza è questo, non quello della simmetria e della regolarità: l’automobile ruggente è “più bella della Vittoria di Samotracia”, dice il Manifesto. Poco più tardi, nel 1921, echeggiando il futurismo, la canzonetta di Blanc fatta propria dal fascismo dirà: “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza / giovinezza, giovinezza tu ci dai la libertà”.

Giuseppe Blanc ( 1886-1969 ): musicò la canzone Giovinezza
(su parole di Salvator Gotta) che divenne inno ufficiale del Partito Nazionale Fascista

Il fascismo incanala questo ribellismo disordinato verso uno scopo politico funzionale al regime. Così, l’attivismo delle avanguardie si trasforma in organizzazione militare giovanile: la Gioventù del Littorio, le associazioni dei Balilla, quelle delle Giovani Italiane. Accanto all’organizzazione vi è il culto del corpo, celebrato nelle associazioni sportive e ricreative che servono, assieme a quelle militari, ad addestrare e disciplinare i giovani, a rinsaldare tra loro i vincoli di cameratismo, a prepararli ad affrontare l’impegno più grande: la costruzione del primato della nazione attraverso la guerra e la conquista. Tale modello ideologico di giovane viene esteso all’intera società: tutti devono apparire giovani, forti, addestrati, pronti ad agire contro il nemico senza tante chiacchiere. Il fascismo, insomma, con lo sport, l’associazionismo e la guerra incanala l’energia indisciplinata e il disordine ideale delle avanguardie degli anni Dieci: il giovanilismo passa dal disordine all’ordine.

Esibizione fascista dei balilla


Ricorda con rabbia, dramma
teatrale di John Osborne
Teddy boys anni Cinquanta
Nel dopoguerra e negli anni Cinquanta si assiste al processo opposto: il ritorno del giovanilismo al disordine. Il clima democratico, l’avvio del benessere, le speranze suscitate dalla ricostruzione consentono l’assorbimento di modelli di comportamento controcorrente. Il giovane degli anni Cinquanta assorbe le mode culturali americane: i teddy boys, gli jukebox, gli orari anomali, i luoghi di ritrovo. Non ha velleità politiche come accadrà nel decennio seguente, né intende fare del suo comportamento un modello di rinnovamento sociale, ma è già “fuori controllo” e “a parte”, si sente un ribelle perché si distingue dalla restante società. È un generico ribellismo nutrito da letture elitarie che riflettono questo stato d’animo: Il giovane Holden di Salinger è del 1951, La Valle dell’Eden di Steinbeck è del 1952, Ricorda con rabbia di Osborne e del 1956. Il giovane ribelle degli anni Cinquanta non è politicizzato, né vede nell’organizzazione politica una salvezza; anzi appare come abbandonato dall’organizzazione che nei decenni precedenti aveva mostrato per lui grande interesse. Il ribellismo degli anni Cinquanta tende alla separazione, al distacco fra giovani e società, piuttosto che all’impegno politico e all’elaborazione di un progetto di rinnovamento sociale. (1 – continua)
Jerome David Salinger (1919-2010) e la copertina del
romanzo The catcher in the rye, tradotto in italiano
con il titolo Il giovane Holden       
Manifesto del film La valle dell'Ede(interpretato da un altro mito di quella generazione, James Dean)
tratto dall'omonimo romanzo di John Steinbeck