domenica 5 agosto 2012

Il giovanilismo e il movimento del '77

4a parte: Il giovanilismo e il movimento del Settantasette: dall’impegno politico al trionfo dell’autonomia

Si è spesso tentato di stabilire un’analogia se non addirittura una continuità tra il ’68 e il ’77, come se il primo avesse in qualche modo preparato o influenzato il secondo. Influenze, come è ovvio, ve ne sono state, ma i due movimenti, in realtà, sono profondamente diversi.

La violenta contestazione, attuata dagli studenti dell'Autonomia, contro
Luciano Lama nel febbraio 1977
Gli scontri di Bologna, marzo 1977
Iniziamo dalle analogie. Anche nel movimento del ’77 vi furono clamorose contestazioni politiche (memorabile fu la contestazione subita dal segretario generale della CGIL Luciano Lama all’Università La Sapienza di Roma, nel febbraio 1977); ed anche scontri di una certa entità, soprattutto in alcune città sedi universitarie: Roma fu sconvolta da autentiche guerriglie urbane nel marzo e nell’aprile del 1977 (negli scontri morì la studentessa Giorgiana Masi), quando fece la sua comparsa un nuovo mito della farneticazione contestataria, la P38, l’arma cult degli “anni di piombo”; Milano fu messa a ferro a fuoco nel maggio; a Bologna si dovette far uso di mezzi blindati per arginare la violenza, specie durante gli scontri del marzo 1977, dove morì lo studente Francesco Lorusso, esponente di Lotta continua.
Un'immagine simbolo degli anni di piombo: l'ex-terrorista
Giuseppe Memeo durante gli scontri di Milano, maggio 197
 Nelle università di Bologna, Roma e Milano si sviluppò il movimento “Autonomia studentesca” affiancato da “Autonomia operaia”, ambienti politici che alimentarono la cosiddetta “lotta armata”, ovvero il terrorismo rosso attuato da formazioni clandestine come Proletari Armati per il Comunismo e Azione Rivoluzionaria; infine, alcuni esponenti dell’area delle “autonomie” (Oreste Scalzone, Franco Piperno, Franco Berardi – il famoso Bifo di Radio Alice – e soprattutto Toni Negri) condivisero apertamente o parteciparono direttamente all’attività terroristica di formazioni armate già esistenti, come Prima Linea, Unità Comuniste Combattenti, Nuclei Armati Proletari, Brigate Rosse.). Lo sviluppo del movimento del ’77, insomma, coincise con il culmine degli “anni di piombo”.



Indiani metropolitani, 1977


Indiani metropolitani, 1977
Eppure, nonostante questi collegamenti con organizzazioni politiche e formazioni terroristiche, il movimento del ’77 fu più un’avanguardia culturale che politica: l’autonomia si esprimeva con la creazione di centri sociali, di iniziative colorite e rumorose (si pensi ai cosiddetti “indiani metropolitani”) che intendevano mostrare solo il sentimento dell’insofferenza e dell’antagonismo contro ogni tipo di regola, di organizzazione, di pensiero, di obiettivo politico. Da questo punto di vista si vede la diversità con il ’68: se questo era impegnato nella politica e quindi organizzato, il ’77 fu invece antipolitico, poiché esprimeva solo insofferenza e la esibiva come vessillo della diversità giovanile rispetto al sistema. Il ’77 fece della diversità e persino della marginalità un valore. È vero che tale atteggiamento finì per avere una rilevanza politica, perché all’antagonismo giovanile guardarono un po’ tutte le forze organizzate della sinistra per capire come attirarne il consenso e incanalarne la rabbia verso forme di rappresentanza politica; tuttavia, non era la politica l’interesse prioritario del ’77, bensì l’espressione e la produzione di cultura.

Indiani metropolitani a Bologna

"Esproprio proletario" a Roma, 1977

La cultura del ’77, che si esprime in un certo numero di riviste e di manifestazioni artistiche, è un po’ una summa dei giovanilismi dei decenni precedenti. Il gusto per gli sperimentalismi linguistici e per le contaminazioni linguistiche deriva dallo sperimentalismo delle avanguardie del primo Novecento e dallo stesso ’68; dagli anni ’50 deriva il gusto per l’associazione, che porta alla nascita dei centri sociali come luoghi di aggregazione giovanile; dal futurismo e dal fascismo il gusto per lo sberleffo e per la provocazione gratuita. A tenere uniti questi atteggiamenti c’è la “legge del desiderio”: ogni desiderio del giovane è legittimo, si diceva nel ’77, perché liberatorio e antisistema per il fatto stesso di esprimersi. Così ecco le manifestazioni violente di espressione dei desideri giovanili: “l’autoriduzione del prezzo” praticata nei ristoranti, “l’esproprio proletario” praticato nei supermercati, nei magazzini, nelle librerie, lo sfondamento per entrare nei concerti rock senza pagare, la falsificazione dei biglietti di viaggio sui mezzi pubblici o di quelli per entrare allo stadio. In tutto ciò non c’è impegno, né volontà di rinnovamento della società, anzi ogni progetto viene rifiutato perché produce sistema e potere: perciò alla lotta organizzata si preferisce la sopravvivenza ai margini, il rifiuto del lavoro e della famiglia, la negazione di qualsiasi ordine e disciplina.  È innegabile che questi temi derivino anche dal ’68: ma mentre allora vi era il desiderio di riorganizzare il mondo su basi nuove, nel ’77 l’idea stessa della riorganizzazione è rifiutata; si preferisce decostruire, de-organizzare (non a caso una delle filosofie di riferimento è il decostruttivismo di Jacques Derrida che nega la realtà e la fondatezza di ogni gerarchia e di ogni ordine nel linguaggio e nel pensiero).
Il filosofo francese Jacques Derrida (1930-2004)
Come era accaduto per la cultura del ’68, però, anche quella del ’77 finì per essere assorbita dal sistema e sarebbe diventata essa stessa “il sistema”. Si trattava infatti di una cultura che, pur contestando il capitalismo, non disprezzava il consumo e intendeva cavalcarlo con “creatività” per sfruttarne quelle potenzialità che potevano liberare i desideri giovanili, ritenuti, chissà perché, sempre “antisistema”. Insomma, si trattava di una cultura che, pur affermando di essere in conflitto con la società capitalistica, era invece implicitamente in sintonia con essa: quest’ultima spingeva sempre di più al consumo disimpegnato, senza preoccupazioni, senza rimorsi, narcisistico, senza preoccuparsi del modo con cui la ricchezza si poteva continuare a produrre e la si poteva mantenere, un consumo de-responsabilizzato; allo stesso modo il movimento del ’77 spingeva verso la negazione di ogni ordine e di ogni regola, per lasciare lo spazio alla creatività individuale, all’anticonformismo provocatorio, all’originalità, all’imposizione del desiderio individuale come fonte di ogni diritto. Proprio ciò alimenta il mercato nel “capitalismo avanzato” degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta: il disimpegno, l’attenzione narcisistica al sé, il consumo senza pensiero e senza rimorsi.

Una delle irridenti copertine de Il Male
rivista che pubblicò dal 1977 al 1982
Non è un caso, quindi, che, come era accaduto per il ’68, anche per il ’77 le proposte più politicizzate del movimento si spensero e rimase invece, come sua eredità, uno stile di vita, un’etica che sarà fatta propria dall’intero corpo sociale, che conquistò addirittura il mercato. Le riviste più lette del movimento, quelle più anticonformiste che avevano fatto dello scherno e dell’irrisione il loro modo di comunicare, e cioè Il Male e Frigidaire, ebbero uno strepitoso successo editoriale e lanciarono un nuovo modo di fare satira che oggi vediamo ampiamente usato dalla televisione e che impazza su internet (si pensi allo stile di Striscia la notizia o a quello di Le iene, oppure ai siti e ai blog di irrisione e satira che spopolano tra i giovani che navigano in rete). Molti di coloro che lavorarono in queste anticonformiste riviste d’opposizione si sono poi affermati nel mondo dei mass-media nei decenni successivi ed oggi alcuni sono persino personaggi di successo (si pensi ai grafici e disegnatori Andrea Pazienza, Filippo Scòzzari, Sergio Angeletti – noto per anni con lo pseudonimo Angese – nonché Vauro Senesi – noto come Vauro). Lo stile comunicativo dissacrante e derisorio si diffonde nelle radio libere (di cui la già citata Radio Alice è stato solo uno degli innumerevoli esempi) e nelle prime tv libere: tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta si colloca l’inizio della liberalizzazione delle frequenze radiofoniche e televisive, poiché le sentenza della Corta Costituzionale che avviarono la libera comunicazione via etere sono del 1974 e del 1976. Si impongono poi i megaconcerti rock e i raduni giovanili che divulgano nuove mode musicali del tutto disimpegnate sul piano politico, ma contro corrente perché prive di ordine e di senso (il rock demenziale, il rap, la break dance, il rave party). Nasce persino una serie di nuove professioni tutte esercitate all’insegna dell’autonomia e dell’indipendenza: il film maker indipendente che produce cortometraggi al di fuori delle grandi industrie di produzione cinematografica (ma avrà così tanto successo di mercato che non pochi di costoro diventeranno dei veri e propri produttori di cinema); il designer creativo nato come writer nei sobborghi, dove scarabocchiava i muri con le bombolette spray, poi reclutato dalle amministrazioni comunali per creare murales nei parchi pubblici, e infine pagato dall’industria di moda per creare nuove forme per gli abiti e per gli accessori d’abbigliamento; il pubblicitario creativo (si pensi al fotografo Oliviero Toscani il cui stile comunicativo deve molto alla cultura della provocazione del ’77); l’operatore culturale che produce attività effimere per le “estati culturali” organizzate da tutti i comuni dagli anni Settanta in poi; e ancora: il disegnatore di moda, l’artista postmoderno, il procacciatore di sponsorizzazioni, l’animatore di locali e così via.
Il fotografo Oliviero Toscani (1942)
Insomma, il movimento del ’77 è rimasto come stile comunicativo, uno stile che disprezza ogni criterio di organizzazione logica e utilizza, in un miscuglio ipnotico, immagini, musica, parole, esibizione del corpo, spinta a eccedere. Così, da un lato l’autonomia assunta come valore dal movimento del ’77 diviene un’etica che contribuisce a generare la nuova classe di piccoli imprenditori dinamici e spregiudicati che si afferma dalla fine degli anni Settanta; dall’altro, lo stile comunicativo del ’77 è fatto proprio nei decenni seguenti da tutto l’universo dei mass media. Eterogenesi dei fini: nato come contestazione antisistema e anticapitalista, il movimento del ’77 diede al capitalismo nuova linfa per uscire dalla lunga crisi economica degli anni Settanta. (4 – continua. La prossima sarà l'ultima parte)
Alcune copertine di Frigidaire, rivista nata nel 1980. Qui sotto:
un writer "legalizzato", al servizio del Comune di Ravenna