sabato 13 ottobre 2012

Ideologia del terrore e islamismo. Quinta parte: Le origini dello jihadismo

Non sono sparito, sono ancora qui: mi dispiace per i miei detrattori ma non ho smesso di scrivere. Ho solo preso una pausa per impegni di lavoro e personali. Chiedo ancora scusa ai 25 lettori che mi apprezzano e offro loro il continuo delle mie riflessioni su islamismo e terrorismo, iniziate giorni fa. Buona lettura!


5a parte: Dallo jihadismo a Bin Laden. Le origini dello jihadismo.


Il termine jihad in arabo significa “sforzo”, “impegno”, “lotta”. Per i musulmani la parola indica tutti quegli atteggiamenti e quei comportamenti che servono per combattere il peccato e rafforzare la fede. In particolare il fedele distingue tra “grande jihad” e “piccolo jihad”: il primo consiste nell’impegno interiore, esclusivamente spirituale, per correggere le proprie inclinazioni verso il male, per contrastare le tentazioni che provengono dalle passioni e dagli impulsi; il seconda è invece esteriore e consiste nell’impegno militare contro coloro che minacciano la fede e i fedeli. Gli islamisti interpretano il jihad come guerra ideologica contro tutti gli infedeli, percepiti come minaccia nei confronti della fede. Questa particolare lettura del termine ha fatto nascere lo jihadismo: un movimento politico-militare, diffuso in molte regioni popolate da musulmani, che persegue deliberatamente l’obiettivo della lotta armata e cruenta contro l’Occidente, considerato il principale nemico dell’Islam. I gruppi che seguono lo jihadismo sono moltissimi, quasi tutti sorti negli ultimi 30 anni a causa soprattutto di due eventi: l’inasprimento della questione medio orientale, scoppiata dopo la costituzione dello Stato di Israele (1948) ma diventata particolarmente violenta dagli anni Ottanta in poi; la rivoluzione iraniana del 1979. Una sia pur sommaria ricostruzione della loro storia sarebbe davvero impresa ardua per le mie forze, e comunque troppo lunga per essere ospitata nelle pagine di questo blog. Sulla questione, del resto, esistono molti studi seri e documentati pubblicati in occidente, non pochi di questi tradotti in lingua italiana. Si veda ad esempio l’opera fondamentale di Gilles Kepel, Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, (2003), tr.it. Roma, Carocci, 2004; il saggio di Bernard Lewis, forse il più importante studioso dell'Islam al mondo, intitolato Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente, (2004), tr. it. Milano, Mondadori, 2009; oppure Luciano Pellicani, Jihad: le radici, Roma, Luiss University Press, 2007. Molto utile è anche l’articolo, rinvenibile online, di Leonardo Sacco intitolato Riflessioni giuridiche e non solo giuridiche su fondamentalismo islamico e jihadismo, in Iura Orientalia, VI, giugno 2010, pp. 316-353: oltre ad essere riccamente corredato da note bibliografiche, è un’aggiornata rassegna sullo stato attuale degli studi sul problema dello jihadismo.

Qui mi limiterò a poche osservazioni sulle origini dello jihadismo, su due dei gruppi più noti e infine su Al-Qaeda.


Anwar al-Sadat, Presidente
egiziano dal 1970 al 1981

È a partire dagli anni Ottanta, come dicevo, che compaiono nella scena politica i primi gruppi jihadisti. L'atto fondativo dello jihadismo fu l'attentato a Sadat del 1981 messo a segno dalla Jihad islamica egiziana (JIE, o “Gruppo al-Jihad), organizzazione guidata da Salam al Faraj e di cui uno dei leader era il giovane Ayman al Zawahiri (che incontreremo ancora). La JIE era sorta entro l’organizzazione dei Fratelli musulmani; con l’attentato del 1981 essa volle punire il Presidente egiziano Anwar Sadat per aver firmato nel 1979 la pace di Camp David con Israele. Per questo gruppo, che accoglie in pieno l'insegnamento di Qutb, la jihad è un obbligo di fede, addirittura uno dei pilastri dell'islam, la cui importanza sarebbe stata nel tempo occultata in modo ipocrita e opportunista dagli esperti di diritto musulmano che avrebbero insegnato la jihad come una sorta di “obbligo assente”. Il gruppo segnalò così la propria opposizione rispetto alle posizioni assunte dai Fratelli musulmani che negli anni Settanta avevano preso le distanze dalle teorie di Qutb sull'avanguardia armata, pur non rinunciando all'instaurazione di un potere islamico da realizzarsi attraverso la predicazione e le conversioni di massa: una tattica attendista, secondo la Jihad egiziana, che si contrapponeva alla scelta dello scontro aperto con l’infedele, strada preferita da questo gruppo. Così la JIE portò ciclicamente il suo attacco ai soggetti simbolo del potere corrotto degli infedeli: cristiani, ebrei, turisti (noto l'attentato del 1997 contro i turisti a Luxor). Duramente combattuta da Mubarak, la Jihad egiziana è stata spesso costretta a lunghe pause per rinsaldare le fila dell'organizzazione. Ricercati dalle polizie del mondo occidentale, gran parte dei suoi attivisti sono confluiti in al-Qaeda dopo l’11 settembre 2001, tanto che il governo degli Stati Uniti ormai equipara la Jihad egiziana all’organizzazione di bin Laden.

L'attentato a Sadat, il 6 ottobre 1981

Dall'Egitto lo jihadismo emigrò in Algeria all'inizio degli anni Novanta. Qui, nel 1991 il FIS (Fronte islamico di salvezza, raggruppamento tradizionalista islamico che ha al suo interno ali jihadiste) trionfò nelle elezioni politiche. Ma le elezioni vennero annullate dai militari che assunsero il potere: il colpo di stato militare del ’92 provocò la dura risposta islamista che organizzò l'AIS (Armata islamica di salvezza) la quale si oppose con le armi alla dittatura militare. Nacque anche il GIA (Gruppo islamico armato) che concepiva l'uso della violenza non come forma di resistenza ma come un fine in sé: un fine da perseguire per spazzare via il potere empio ovunque si annidasse. IL GIA estese il ricorso alla violenza anche contro donne e bambini, andando oltre la proibizione teologica: colpire donne e bambini parenti di uomini che avevano scelto il campo avverso era il modo per portare a fondo il programma di punizione dei nemici della vera fede. Per il GIA l'uso della violenza assunse perciò valenze sacre e simboliche: nel corso della cruenta guerra civile algerina degli anni Novanta (1992-’97), i miliziani del GIA uccidevano gli avversari caduti nelle loro mani seguendo un rituale sacro, cioè lo sgozzamento halal (ovvero uccisione “lecita”). La vittima era infatti considerata un animale impuro che andava purificato attraverso il taglio della gola e il conseguente dissanguamento; poi i corpi venivano decapitati per impedire la ricomposizione del cadavere; infine i resti venivano cremati per anticipare alla vittima il tormento del fuoco promesso da Dio a chi rifiuta l'autentica fede. La guerra civile algerina assunse così il carattere di un autentico mattatoio dove perirono centinaia di migliaia di vittime e dove si misero in luce gli “afghani”, cioè i combattenti volontari che negli anni precedenti erano andati a combattere contro l'Urss in Afghanistan (di loro parlerò nel prossimo post).

La vicenda algerina ebbe grande influenza su due dei più noti gruppi jihadisti che operavano già da qualche anno nell’area palestinese e libanese, gruppi che hanno tuttora grande influenza in quelle regioni: gli Hezbollah in Libano, Hamas in Palestina.

L'emblema di Hezbollah

La prima organizzazione è nata nel 1982 dopo la rivoluzione iraniana di Khomeini, sicché è di orientamento sciita (ricordo che le principali correnti religiose musulmane sono quella sunnita, maggioritaria, e quella sciita, minoritaria ma molto forte in Iran e Iraq). Nel 1982 Israele occupò il Libano meridionale per difendersi dagli attacchi terroristici che provenivano da quella regione; la conseguenza di tale occupazione fu il precipitare del Libano nel caos della guerra civile, durante la quale si formarono molte organizzazioni ispirate ai vari orientamenti religiosi presenti in quello Stato: cristiani, drusi, sunniti, sciiti. L’organizzazione degli Hezbollah fu appunto una di queste. Il loro emblema è una bandiera gialla al cui centro campeggia un versetto del Corano che dice: “Colui che sceglie per alleati Allah, il Suo Messaggero e i credenti, in verità è il partito di Dio, che avrà la vittoria”. Hezbollah, infatti, vuol dire Partito di Dio. Nell’emblema la lettera alif, prima lettera del nome di Allah, è resa con una mano che stringe un mitra ed è affiancata dal globo terrestre. Hezbollah è accusata dagli Stati Uniti, ma anche da alcuni paesi arabi (Egitto, Arabia Saudita, Giordania) di aver svolto attività terroristica contro Israele; dal 2005 anche il Parlamento europeo ha riconosciuto che l’organizzazione è stata responsabile di atti terroristici. Tuttavia Hezbollah ha molto seguito tra gli sciiti libanesi, perché svolge anche attività di sostegno e assistenza nei servizi sociali, gestendo una rete di ospedali e di scuole. Tra i suoi obiettivi più volte proclamati vi è la distruzione di Israele come “entità sionista”. 

Hassan Nasrallah
Oggi Hezbollah è guidato da un leader, Hassan Nasrallah, che è riuscito ad ottenere non solo il ritiro dell’esercito israeliano dal Libano meridionale, ma anche un accordo con Israele in base al quale entrambe le parti rinunciano a colpire la popolazione civile (2005). Ciò ha migliorato la fama del movimento in Occidente, tuttavia nel 2010 i servizi segreti israeliani hanno scoperto piani segreti messi a punto da Hezbollah in accordo con Iran e Siria per colpire l’“entità sionista”: da allora su Nasrallah è calata di nuovo l’ombra del sospetto che vi siano lui e la sua organizzazione dietro molti recenti attentati subiti da Israele.

Miliziani libanesi hezbollah durante una manifestazione





Emblema di Hamas
Riguardo ad Hamas (sigla che significa “Movimento per la resistenza islamica”; ma la parola significa anche “entusiasmo”, “fervore”), essa è nata nel 1987 come derivazione dei Fratelli musulmani e per volontà dello sceicco Ahmad Yassin. L’anno in cui nacque è anche quello dello scoppio della prima “intifada”, ovvero della ribellione esplosa nei territori palestinesi contro l’occupazione israeliana. Ma è durante la seconda intifada, dal 2000 al 2006, che Hamas si mise in luce, portando a compimento molti attentati suicidi non solo contro l’esercito di Israele ma soprattutto contro la popolazione civile israeliana. L'importanza di Hamas ha oscurato un altro gruppo palestinese meno noto, ma di vedute simili: la Jihad islamica palestinese di Fati Shqaqi. Entrambi hanno praticato la jihad nella forma del martirio: essi hanno portato il “combattimento per Dio” nelle città israeliane facendosi saltare in aria insieme alle loro vittime. Secondo loro il martirio indicherebbe ai veri musulmani, e al popolo palestinese in particolare, qual è il compito degli autentici credenti quando l'Islam è in pericolo. Infatti il Corano proibisce il suicidio, ma lo jihadismo interpreta il sacrificio di sé come atto in difesa della fede, e ciò è ammesso dal libro sacro.

La bandiera di Hamas
 La difesa della fede ha come obiettivo primario, per Hamas, la cancellazione di Israele e la creazione di uno stato islamico “dal fiume al mare”, cioè dal Giordano al litorale mediterraneo. Nel 2005 Hamas, grazie alla mediazione del Presidente palestinese Abu Mazen, ha firmato una tregua con Israele e da allora gli esponenti dell’organizzazione sottolineano che la loro opposizione ad Israele è solo di natura politica, non religiosa. Tuttavia lo Statuto di Hamas non è stato modificato, ed esso prevede ancora la distruzione dello Stato di Israele; non solo: molte dichiarazioni dei leader di Hamas trasudano un lessico decisamente antisemita che riceve spesso l’approvazione di governi antioccidentali e antisemiti, come quello iraniano.


Miliziani di Hamas in parata


Hamas propaganda l'uso di bambini
negli attentati suicidi
Il seguito popolare di Hamas nei territori oggi amministrati dall’Autorità nazionale palestinese è immenso, anche perché l’organizzazione, come Hezbollah, gestisce una rete di assistenza sociale (ospedali, scuole, biblioteche) molto ramificata tra i palestinesi. Questo spiega come mai Hamas abbia vinto numerose elezioni amministrative nei territori palestinesi, ma soprattutto le elezioni politiche del gennaio 2006, quando l’organizzazione batté a sorpresa al-Fatha, il partito nato dall’OLP di Yasser Arafat, eleggendo ben 74 dei 132 deputati del Parlamento palestinese e suscitando apprensione e allarme presso i governi occidentali. Infatti, la presenza di Hamas nelle maggioranze che hanno sostenuto i governi palestinesi dal 2006 in poi ha reso più difficili le trattative per la pace in medio oriente, e ha portato nel 2007 ad una vera e propria contrapposizione da guerra civile tra Hamas e al-Fatah, interrotta solo dalla mediazione del re Saudita e dall’intervento del presidente Abu Mazen che nel 2009 è riuscito a creare un governo di unità nazionale presieduto da Salam Fayyad. Sono molti i paesi che considerano Hamas un pericolo per la pace in medio oriente, tra questi gli Stati Uniti, il Canada, l’Unione europea.
I bambini armati di Hamas
La crescita del terrorismo islamista che si è avuta a cominciare dalla fine degli anni Ottanta ha avuto una notevole influenza su Hamas che, sia dopo l’87 sia dopo il 2000, ha adottato una politica del massacro molto coerente, come ha scritto Paul Berman. Hamas ha messo a punto una tecnica poi impiegata da altre organizzazioni, Hezbollah compresi: colpire a caso luoghi affollati, colpire soprattutto bambini, possibilmente utilizzando bambini come kamikaze. Negli anni Novanta sulle pareti degli asili di Gaza e Cisgiordania gestiti da Hamas si trovavano spesso manifesti con scritto “i bambini sono i santi martiri di domani”. I genitori devoti si rivolgevano spesso alla stampa affermando di desiderare il suicidio dei propri figli. (5 – continua)

Bambino kamikaze di Hamas