giovedì 3 gennaio 2013

Due totalitarismi nelle "terre di sangue"


Terre di sangue. Gli stermini paralleli di Hitler e Stalin

In Europa occidentale di solito si associano l’uccisione di massa e lo sterminio con l’Olocausto. Ma questa immagine, pur corrispondendo con una parte della verità, non è tutta la verità. Ad esempio, tra il 1933 e il 1945, in una vasta regione dell’Europa orientale, compresa all’incirca tra il fiume Oder e la linea che congiunge Leningrado (oggi San Pietroburgo) al Mar d’Azov, passando per Smolensk e Kursk, in questa regione, dicevo, perirono 14 milioni di persone.

In queste terre vi sono la Polonia, l’Ucraina, la Bielorussia, gli Stati baltici e parte della Russia occidentale. Sono le “terre di sangue”, come le ha battezzate Timothy Snyder, lo storico di Yale che ha dedicato alle vicende accadute in questi territori tra il 1933 e il 1945 un ponderoso volume intitolato, appunto, Terre di sangue. L’Europa nella morsa di Hitler e Stalin, tr. it. Milano, Rizzoli, 2011. Oltre 580 pagine di drammatica e densa narrazione restituiscono al lettore di oggi una vicenda in parte dimenticata, in parte volutamente ignorata: nelle terre di sangue si sommarono e si potenziarono a vicenda le orribili politiche di sterminio di due dittature, quella di Hitler e quella di Stalin, provocando la morte deliberata di 14 milioni di individui, tra civili e prigionieri di guerra, oltre un terzo dei quali costituito da ebrei. Più della metà degli sterminati morì per fame, al secondo posto come modalità di sterminio ci furono le fucilazioni, al terzo l’uso del gas: sia il monossido di carbonio sprigionato dai tubi di scarico di furgoni appositamente usati per dare la morte, sia l’acido cianidrico (il tristemente famoso Zyklon B) impiegato in alcune delle fabbriche della morte naziste (soprattutto Auschwitz e Majdanek).

Tratteggiate: le "terre di sangue"
Da sinistra: Ribbentrop, Stalin, Molotov

In quelle terre si sovrapposero tre occupazioni. La prima fu quella congiunta tedesca e sovietica seguita al “patto di non aggressione” Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939, patto che condusse alla spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin, all’occupazione russa dei paesi baltici e della Finlandia e allo scoppio della seconda guerra mondiale. La seconda occupazione fu quella tedesca iniziata nel giugno 1941, quando Hitler decise di tradire l’alleato sovietico e, spingendosi oltre la linea Molotov-Ribbentrop, cominciò l’invasione dell’Urss che interessò, oltre alla Polonia orientale, la Bielorussia, l’Ucraina e la Russia fino alla linea Leningrado-Stalingrado. La terza occupazione, infine, fu quella sovietica seguita al contrattacco dell’Armata rossa dopo la battaglia di Stalingrado (agosto 1942-gennaio 1943), invasione che portò i russi dentro la Germania, oltre Berlino, fino all’Elba. Tre occupazioni con annesse politiche di sterminio. Ma non è tutto, perché alle occupazioni manu militari occorre sommare la precedente politica di collettivizzazione delle campagne e la carestia (indotta e voluta) che colpì soprattutto l’Ucraina in due riprese, tra 1929 e 1933 e tra 1933 e 1936: da sola costò agli ucraini oltre 3 milioni di vittime (secondo altre stime forse il doppio). In Ucraina è stato coniato il termine holodomor per riferirsi a questo crimine: significa “infliggere la morte per mezzo della fame”. Alla carestia indotta seguì poi il Grande Terrore staliniano che, cercando un capro espiatorio per la carestia imposta dall’alto, condusse alla fucilazione di circa 700.000 persone, anch’esse concentrate in massima parte nelle terre di sangue.

L'holodomor in Ucraina: una giovane vittima della carestia indotta

La sovrapposizione delle tre occupazione non fu solo una giustapposizione cronologica, ma, come scrisse François Furet, fu una “complicità fra belligeranti” (F. Furet, Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo, tr. it. Milano, Mondadori, 1995, specie le pp. 357-406) che spinse tanto la Germania quanto l’Urss a giovarsi delle politiche di sterminio dell’avversario. Alcuni tra gli innumerevoli esempi ricostruiti da Snyder credo bastino a spiegare in che modo le due dittature si aiutarono nel corso della guerra che, pure, li vide rivali.
Herbert Backe, l'architetto dello
Hungerplan nazista

Primo esempio: l’Hungerplan (letteralmente “piano o programma fame”), previsto dalla Germania per le regioni sovietiche occupate dopo il 1941. Tra il 1941 e il 1942, infatti, Hitler diede ad Herbert Backe, suo Ministro dell’Alimentazione, il compito di avviare questo piano usando le fattorie collettive sovietiche: la loro organizzazione totalitaria consentiva al nazismo di obbligare i contadini ucraini e bielorussi a produrre cibo per i tedeschi. Il piano prevedeva la morte di 30 milioni di individui, ritenuta necessaria dal nazismo per sfamare la Germania. Dopo la battaglia di Stalingrado, però, Hitler dovette rivedere l’applicazione dell’Hungerplan, poiché cominciò la ritirata della Wehrmacht: così le morti furono “solo” un decimo di quelle programmate, ma le fattorie collettive, che già Stalin aveva utilizzato anni prima per affamare milioni di contadini, si rivelarono efficienti strumenti di morte anche in mano al nazismo.

Il monumento di Varsavia che ricorda l'eroica
ribellione polacca del 1944
Secondo esempio: la guerriglia partigiana antinazista in Polonia e in Bielorussia. Stalin, attraverso i suoi emissari, dal 1942 incoraggiò in queste regioni l’attività partigiana contro i tedeschi, pur sapendo che non avrebbe potuto né sostenerla materialmente, né difenderla dalle rappresaglie naziste. Perché, allora, la incoraggiò? Secondo Snyder la risposta più evidente è fornita dalla vicenda di Varsavia: qui, tra il gennaio e l’aprile del 1943, ebrei dell’Armia Krajowa (AK: Esercito Nazionale) e soprattutto della Zydowska Organizacja Bojowa (ZOB: Organizzazione ebraica di combattimento) guidarono la rivolta del ghetto dove i tedeschi avevano concentrato la popolazione ebrea per facilitarne l’eliminazione. I russi, giunti vicino al confine polacco, non si opposero e incoraggiarono la rivolta, ben sapendo che la repressione tedesca sarebbe stata micidiale. Così fu. Sebbene siano stati tenuti in scacco da una tenace resistenza da parte degli ebrei, i tedeschi, comandati da Jürgen Stroop, alla fine riuscirono ad entrare nel ghetto e a raderlo al suolo utilizzando artiglieria, lanciafiamme e gas asfissianti. Tutto venne bruciato, dalle case alle persone; la sinagoga venne fatta saltare in aria. Nell’operazione di repressione morirono oltre 50.000 ebrei, altri 30.000 furono deportati.

L’anno seguente, ad agosto, l’AK organizzò la rivolta dell’intera città contro i tedeschi: se avesse vinto, la Polonia sarebbe stata liberata dai suoi abitanti, anziché dai sovietici. L’Armata rossa era ormai alle porte della città e questa volta sarebbe potuta intervenire per aiutare i partigiani polacchi, o perlomeno far arrivare loro aiuti militari, ma non lo fece: lasciò che i tedeschi trucidassero i ribelli, decapitando l’AK e quanto rimaneva della classe dirigente polacca. Così, nel luglio 1944, Stalin non ebbe rivali quando presentò agli Alleati occidentali il suo governo provvisorio da istallare a Varsavia. Ormai in Polonia l’alternativa al regime sovietico non esisteva più e il governo non comunista, in esilio a Londra, era privo di forza contrattuale: Churchill e Roosevelt dovettero accettare l’imposizione di Stalin. La Polonia sarebbe diventata, dopo la guerra, un eclatante esempio della rigida tutela staliniana sull’Europa dell’est: com’è noto, fino al 1956 nel governo comunista polacco vi sarà addirittura un generale russo come Ministro della difesa, Konstantin Rokossovskij.

A Kaunas, in Lituania, nel giugno 1941 la popolazione civile
aiuta l'Einsatzgruppen "A" a massacrare gli ebrei

Terzo esempio: il sostegno antisemita ricevuto dagli Einsatzgruppen nelle terre sovietiche occupate. Gli Einsatzgruppen, com’è noto, erano le “unità operative”, formate da SS e da Battaglioni di polizia, impiegate dai tedeschi per l’eliminazione fisica degli ebrei nei territori sovietici occupati dal giugno 1941. Ebbene, nei primi territori in cui entrarono (Bielorussia, Ucraina, regioni baltiche), i tedeschi adoperarono il ricordo che la popolazione aveva degli omicidi commessi prima della guerra dalla NKVD (il Commissariato del popolo per gli affari interni, da cui dipendeva la polizia segreta sovietica), durante le grandi purghe staliniane. Orchestrando una capillare propaganda, i nazisti diffusero la menzogna secondo la quale il bolscevismo era parte di un più generale “complotto ebraico”, suscitando il furore delle popolazioni locali che, tormentate dalle dure condizioni che stavano vivendo, aiutarono i nazisti a stanare, fucilare o deportare gli ebrei.
La spartizione tra Germania e Urss decisa dal Patto
Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939

L’Europa che precipitò nelle seconda guerra mondiale, “l’Europa Molotov-Ribbentrop - conclude Snyder – fu una creazione congiunta di sovietici e nazisti” (T. Snyder, op. cit., p. 443). “Dal punto di vista marxista, – egli aggiunge – nel mondo moderno le società contadine non avevano alcun diritto di esistere. Nella prospettiva nazista, i contadini slavi (ma non quelli tedeschi) erano superflui” (ibidem). Le conseguenze pratiche di queste due utopie furono deliberati stermini, programmati eccidi di massa che colpirono le terre di sangue. La guerra mondiale in queste regioni fu particolarmente barbarica non solo a causa del comportamento della Wehrmacht , come scrisse qualche anno fa in un bel libro Omer Bartov (cfr. O. Bartov, Fronte orientale. Le truppe tedesche e l’imbarbarimento della guerra (1941-1945), tr. it. Bologna, Il Mulino, 2003), non solo per la tenacia delle forze militari coinvolte, ma per la sovrapposizione di due ideologie totalitarie che, per realizzare le proprie supposte verità assolute, progettarono deliberatamente la morte di milioni di individui, teorizzarono la loro liquidazione in nome di un’idea.
Lo storico Timothy Snyder

La giustificazione dello sterminio in nome della realizzazione del socialismo non rende le uccisioni meno orribili di quelle attuate in nome della purezza razziale, o della conquista del Lebensraum. La spietatezza di Stalin non è stata inferiore a quella di Hitler e la vittoria conseguita sulla Wehrmacht non solleva l’Urss dalle sue responsabilità morali nei confronti delle terre di sangue. Hitler e Stalin, di fronte a quei 14 milioni di morti, stanno sulla stesso piano. Timothy Snyder, al termine della sua densa narrazione, ci propone queste domande: “Non si può negare che la morte di massa per fame conduca a un certo tipo di stabilità politica. La domanda deve essere: è questo il genere di pace desiderato e desiderabile? Un eccidio lega gli esecutori a quanti hanno emesso gli ordini. È questo il giusto tipo di fedeltà politica? Il terrore consolida un certo tipo di regime. È questo il tipo di regime auspicabile? L’uccisione di civili rispecchia l’interesse di alcuni leader. L’interrogativo non è se tutto ciò sia storicamente vero, ma se sia desiderabile. Sono questi buoni leader e buoni regimi? Se non è così, la questione diventa come impedire tali politiche” (T. Snyder, op. cit., p. 452).

È tuttora importante accorgersi per tempo quando una politica che disprezza la vita degli esseri umani comincia ad affermarsi. Spesso essa non si presenta dichiarando subito i suoi intenti, proprio come accadde con Hitler e Stalin che non parlarono mai, negli anni della loro ascesa, dei loro intenti criminali. Solo in seguito sarebbe diventato evidente dove conducevano le loro politiche.

Non esiste un particolare test per comprendere in tempo se dietro le utopie vi siano progetti di morte. Ma sappiamo che i fanatici adoratori di utopie politiche per realizzare queste ultime devono spesso ricorrere alla forza. Sappiamo inoltre che il disprezzo per la tolleranza, per il dialogo e per il pluralismo delle idee sfocia sistematicamente nella violenza. Tenere sempre la rotta ferma verso la difesa della libertà è il modo migliore per non trovarsi, a distanza di qualche decennio, a fare di nuovo la conta dei morti.


lunedì 31 dicembre 2012

Auguri!


Un sincero augurio

(a mia figlia, innanzitutto, perché il futuro sia per lei sempre promettente; ai miei eroici lettori, senza i quali questo blog non esisterebbe; ai miei cari e ai miei amici che mi sopportano; a tutti quanti; e, per finire, a me)

Con la mezzanotte mi auguro che vadano in cocci tutti i nostri timori sul futuro prossimo. Mi auguro che chi sta subendo minacce di morte, torture e sopraffazioni, riceva giustizia, veda puniti i suoi persecutori e possa vivere in pace, come vuole. Mi auguro che chi crede in Dio, in qualsiasi Dio, possa continuare a farlo senza il timore di essere arrestato o ucciso per questo; e chi è scettico o chi non crede mi auguro che possa continuare ad esprimere il proprio pensiero senza che i credenti lo censurino o, peggio, lo perseguitino come infedele. Mi auguro che tutti coloro che non hanno mangiato abbastanza, che non hanno avuto da mangiare per i propri figli, che si sono ammalati o che hanno avuto un malato in famiglia non perdano la speranza di vedere risolti i propri problemi. Mi auguro che i violenti paghino per i loro atti, ma anche che chi ha subito una violenza trovi il coraggio di proseguire a vivere e a cercare la propria felicità, ma soprattutto trovi la forza di continuare a credere nella libertà.



Con la mezzanotte mi auguro che vadano in frantumi le profezie di sciagure, di fine del mondo, di sventure. E che tutti coloro che navigano in internet abbiano un po’ più di fiducia nella ragione e nella sensibilità dell’uomo e un po’ meno nella potenza e nell’incanto dei mezzi tecnologici; mi auguro che credano un po’ meno a tutto ciò che viene messo in rete e un po’ più nella ragione critica, nella lettura, nella riflessione, nello studio, nella parola, nell’arte, nella musica, nella natura. Anche solo un po’ di più.

Un po’ di più, appunto. Poiché l’anno appena trascorso è stato molto difficile per tutti, basterebbe davvero poco di più per essere più sorridenti e più felici. Auguro a tutti di trovare quel “poco di più”.

Buon 2013!

“Se distruggiamo ogni piacere nel corso della vita, quale specie di futuro ci prepareremo? Se non si sa godere per il ritorno della primavera, come faremo ad essere felici in un’utopia che ci risparmi il lavoro? In che modo sfrutteremo il tempo libero che le macchine ci largiranno? […] Sostenendo che nulla deve essere ammirato tranne l’acciaio e il cemento armato, si rende più probabile una situazione in cui gli esseri umani non avranno altro sfogo per le loro superflue energie se non l’odio e l’adorazione di un qualche duce” (George Orwell, Elogio del rospo, in G. Orwell, Nel ventre della balena e altri saggi, Milano, RCS, 2010, p. 286).


George Orwell