sabato 8 giugno 2013

Prism: lo spionaggio telematico

Libertà o sicurezza?

 
Lo scoop del Guardian del 6 giugno scorso

Le rivelazioni del britannico Guardian del 6 giugno scorso, cui sono seguite, il giorno successivo, quelle del Wall Street Journal e del Washington Post, stanno portando alla luce la dimensione assunta dalle intercettazioni spionistiche effettuate dall’Nsa e dall’Fbi negli Stati Uniti d’America (per le notizie relative vedi ad esempio il Corriere della sera on line qui e qui).


Si tratta di un’attività di controllo e archiviazione di conversazioni e dati privati circolanti sulle linee telefoniche dei principali provider statunitensi (Verizon, At&t, Sprint), nonché nelle chat, nei motori di ricerca internet e, a quanto sembra, anche su Youtube. Persino i movimenti delle carte di credito di milioni di individui sarebbero stati spiati. Il tutto è avvenuto per effetto di un programma di controterrorismo denominato “Prism”: varato dall’amministrazione Bush, è stato adottato anche dal governo di Obama che sembrerebbe averne fatto un uso abnorme. Come scrive Andrea Stroppa sull’Huffington Post, Prism “darebbe accesso immediato all’Nsa e all’Fbi ai server ed ai dati personali degli utenti dei nove colossi più importtanti della rete: Microsoft, Yahoo!, Google, Facebook, PalTalk, Aol, Skype, Youtube e Apple” (A. Stroppa, Prism: la dura verità, l’uscita che non esiste, ma anche un insegnamento, Huffington Post, 7/6/2013). Niente privacy su internet, ma neppure nelle conversazioni via etere e via cavo effettuate con un qualsiasi dispositivo telefonico (sugli aspetti tecnici di Prism cfr. Maurizio Molinari, Dalle cimici ai metadati, la cyber-intelligence sta tutta in un algoritmo, in La Stampa, 8/6/2013).



Che il problema della riservatezza sia il più delicato nell’uso della rete, credo che ormai sia noto a tutti i suoi utilizzatori. Che una grande potenza come gli Stati Uniti, impegnata da decenni nel conflitto contro il terrorismo e nelle questioni, altrettanto delicate, della sicurezza dei suoi cittadini, fosse intenzionata a controllare e spiare la vita di milioni di individui, anche insospettabili, lo sappiamo almeno da quando George Bush jr. ha ottenuto dal Congresso, dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, il via libera al Patriot Act che rafforzò i poteri di Cia, Fbi e, appunto, Nsa. Sapevamo anche che altrettanto stavano facendo, sia pure con minor dispiego di mezzi, molti altri paesi soggetti alla minaccia terroristica.

Il Presidente Obama durante la
conferenza stampa di ieri, 7 giugno
Ciò che invece spesso fingiamo di non sapere è che in ogni paese del mondo una parte rilevante delle operazioni di controllo e di prevenzione del crimine, nonché di difesa del territorio e della sicurezza nazionali, è costituita da quelle attività che gli americani chiamano covered, ovvero segrete e, in quanto tali, svolte con modalità che sono talvolta, se non sempre, semilegali o addirittura contra legem. Quel che voglio dire è che persino un progetto di protezione della sicurezza nazionale deliberato regolarmente da un organo legislativo, come sembrerebbe essere Prism (lo ha ribadito ieri il Presidente Obama: vedi qui), persino un simile programma, per quanto scelto e deliberato attraverso un percorso rispettoso della legge e dei diritti dei cittadini, nel momento della sua esecuzione deve essere sottratto all’attenzione del pubblico e dei mezzi di comunicazione, pena il suo fallimento. Per sua stessa natura, un progetto di controllo delle identità sospette non può essere trasparente, né l’operato di chi lo attua può essere sottoposto ad un referendum popolare quotidiano. Ed è proprio per questa natura segreta che l’attività degli organi di polizia e di spionaggio rischia di violare i limiti della riservatezza individuale, poiché accumulerebbero così tante informazioni da costituire una minaccia per la libertà e per l’indipendenza dei singoli.


Non sto elogiando il governo degli Stati Uniti per il progetto in questione, né intendo imbarcarmi nell’impresa di scrivere l’apologia delle azioni di intelligence più o meno “coperte”. Ma non posso evitare di chiedermi se accettare la presenza di cani da guardia, che si muovono nell’ombra e su un terreno confinante con il crimine, non sia una tragica conseguenza del complesso sistema di comunicazione che abbiamo costruito negli ultimi 30 anni. Come può garantire la propria difesa una nazione se le informazioni che circolano sul suo territorio, e al di fuori di esso, possono trovare migliaia di canali aperti e liberi, attraverso i quali potrebbero farsi strada i messaggi e i comportamenti più pericolosi? Come è possibile garantire l’incolumità di tutti in un mondo in cui tutti comunicano come e con chi vogliono, trasferendo dati di qualsiasi tipo, in qualsiasi luogo del pianeta? È ancora possibile parlare di sicurezza in un simile mondo? O meglio: è ancora possibile conciliare la tutela della sicurezza con quella delle libertà individuali?
 
Time del 13 maggio 2013
La domanda che mi pongo è sentita come vitale negli Stati Uniti, soprattutto dopo l’attentato di Boston. Di recente la rivista Time ha ricostruito la vicenda di Tamerlan Tsarnaev, rimasto ucciso nell’aprile scorso in uno scontro a fuoco con la polizia che tentava di acciuffarlo (cfr Massimo Calabresi & Michael Crowley, Homeland Insecurity. How far should the U.S. go?, in Time, May 13, 2013). Chi era Tamerlan Tsarnaev? Uno degli attentatori della maratona di Boston del 15 aprile, uno dei due fratelli ceceni che hanno piazzato ordigni artigianali (pentole a pressione zeppe di chiodi) lungo Boylston Street, vicino al traguardo della corsa, ordigni la cui esplosione ha provocato la morte di tre persone e il ferimento di altre 200, alcune delle quali sono rimaste gravemente mutilate. Ebbene, Tamerlan, come ha spiegato il Time, aveva seguito un graduale percorso verso la sponda radicale dell’islamismo, tanto da trasformarsi in pochi mesi, da boxer perfettamente integrato nel sistema consumistico nordamericano, in una potenziale minaccia per la sicurezza dei cittadini. I servizi segreti americani lo avevano intercettato già nel 2011 ma, dopo aver seguito le procedure di controllo previste dalla legge, non riscontrando nel suo comportamento politico nulla più che un atteggiamento politico radicale, hanno interrotto ogni indagine, classificando il soggetto come non pericoloso. Anche la sua ribellione dell’agosto 2012 contro la Islamic Society di Boston non passò inosservata, perché Tamerlan apostrofò violentemente l’imam della moschea durante un sermone (che il giovane contestatore riteneva in contrasto con l’Islam) attirando su di sé l’attenzione di molte persone. Eppure anche in quell’occasione non fu sottoposto ad indagine.
 
L'attentato di Boston del 15 aprile scorso
Ma non è finita qui: Tamerlan subito dopo questa sparata aprì un canale Youtube in cui postò parecchi video di promozione dell’attività islamista radicale. In uno di questi si vedevano militanti armati che si addestravano; in un altro si celebrava la sconfitta degli infedeli attraverso la jihad. Le autorità avrebbero potuto intervenire, ma non lo fecero, ritenendo superflua un’indagine nei confronti di un ennesimo radicale islamista che avrebbe potuto appellarsi al primo e al quarto emendamento della Costituzione americana (quelli che garantiscono: la libertà di culto, parola e stampa; la difesa da perquisizioni, arresti e confische irragionevoli). “Un attento agente federale - commentano gli autori dell’articolo del Time - avrebbe potuto ravvisare in questi atteggiamenti un modello di comportamento pericoloso”.
 
Tamerlan Tsarnaev
Quando si è saputo che Tamerlan era già noto alle autorità, si è acceso un rabbioso dibattito a Washington su come utilizzare e condividere certe informazioni, che potrebbero servire nell’azione di prevenzione degli attentati. La vicenda degli attentatori di Boston è sembrata a molti la replica di quel che era accaduto l’11 settembre, quando fallì proprio la comunicazione tra i servizi di intelligence e la magistratura che dovrebbe autorizzare i controlli più delicati. In entrambi i casi nessuno violò la privacy dei soggetti potenzialmente più pericolosi, al fine di approfondire la conoscenza di comportamenti sospetti. Eppure, dopo l’attentato alle Torri gemelle, le leggi sul controterrorismo avevano affidato all’Fbi poteri di investigazione più aggressivi e più penetranti. Come mai nel caso dei fratelli Tsarnaev non hanno funzionato?


Il Time sostiene che con Obama queste leggi non sono venute meno, ma la nuova amministrazione ha inaugurato nei confronti del mondo islamico, specie nei confronti dei musulmani viventi in  America, una diversa strategia, basata sulla conquista della loro fiducia, sul dialogo e sulla cooperazione, al fine di prevenire il terrorismo piuttosto che reprimerlo. Inoltre, per effettuare operazioni “sotto copertura”, un agente dell’Fbi oggi deve chiedere il permesso ad una speciale commissione di Washington che rilascia di rado questo genere di autorizzazioni. Le nuove linee guida di Obama potrebbero aver ridotto l’attenzione degli agenti federali? Philip Mudd, ex cacciatore di terroristi per conto di Fbi e Cia, dichiara al Time che “nemmeno se volessimo potremmo controllare tutti i radicali presenti nel nostro paese”; e del resto – aggiunge - non solo “anche i Padri Fondatori erano radicali”, ma bisogna ricordare che “noi [americani] abbiamo una Costituzione la quale dice che sul nostro territorio si è liberi di essere radicali e di parlare comunque si voglia parlare”. Nel 2011, infine, il Consiglio per le relazioni Islamico-Americane querelò l’Fbi per aver violato i diritti civili dei musulmani nel sud della California, poiché erano stati usati agenti infiltrati nelle moschee e si era così attuata una “sorveglianza indiscriminata”.


È comprensibile che, schiacciati tra le nuove procedure volute da Obama e il rischio di essere denunciati per la violazione del Quarto emendamento, gli organismi di sorveglianza debbano muoversi con maggior attenzione, con minor pubblicità possibile, con minor trasparenza, con più segretezza. Oppure scegliere di allentare i controlli, di rinunciare ad indagare a fondo nella vita di cittadini sospetti, di evitare di rovesciare le esistenze di individui comuni come un calzino, con il rischio di trovarvi pochissimo. In entrambi i casi essi corrono un rischio: nel primo caso di venire smascherati e accusati di violare la privacy dei cittadini; nel secondo caso di aver agito con leggerezza e di non essersi accorti per tempo di una potenziale minaccia. Gli Stati Uniti hanno vissuto, nell’ultimo mese, entrambe le circostanze: il caso di Boston ha mostrato i limiti operativi delle agenzie di controllo; il caso Prism ha messo in luce i rischi di violazione della libertà personale che le loro attività più efficaci possono generare.

Questa schizofrenica situazione è presente anche nell’opinione pubblica americana. Il sondaggio pubblicato dal Time documenta che il 40 % della popolazione degli Usa teme che qualche membro della propria famiglia possa rimanere ucciso in un attentato terroristico; il 41% pensa che il governo abbia gli strumenti per prevenire gli attentati; il 61% ritiene addirittura che il governo, dopo Boston, assumerà decisioni restrittive delle libertà civili. Ma ben il 59% dei cittadini americani è oggi più preoccupato che mai della possibilità che il governo spii le telefonate private, che intercetti le comunicazioni via e-mail, che eserciti insomma un controllo capillare sulle vite degli individui.



Sicurezza o libertà? È possibile farle convivere in un mondo sempre più globalizzato e intercomunicante? Come prevenire gli attentati preservando al contempo la nostra libertà, di cui la riservatezza delle comunicazioni è parte integrante? Il dibattito negli Usa è iniziato, mentre da noi langue. In Italia, ad esempio, si preferisce usare strumentalmente tali questioni: se Bush emana il Patriot Act la sinistra lo attacca e lo condanna perché, spiando le nostre vite con il pretesto della sicurezza, farebbe gli interessi delle multinazionali. Se è Obama ad attuare norme simili la stessa sinistra tace imbarazzata, ma si scatena la destra che lo accusa di essere meno affidabile del suo predecessore. Da notare che questi atteggiamenti faziosi non esistono tra le forze politiche statunitensi: di fronte agli attacchi della stampa sul caso Prism, non solo il Partito democratico, ma anche quello repubblicano ha preso le difese del Presidente, mostrando una lungimiranza bipartisan del tutto impensabile nel nostro paese.




Naturalmente il rischio di essere spiati dal governo deve preoccupare ogni vero amante della libertà. Tuttavia credo che la domanda posta dal Time sia pertinente: “poiché il Quarto emendamento tutela i cittadini contro le indagini irragionevoli, sembra corretto chiedersi cosa sia un’indagine ragionevole, in un mondo in cui un individuo solitario può confezionare una bomba con una pentola a pressione” (art. cit. del Time). Perciò, svegliamoci: prima cominceremo a porci questo interrogativo anche qui, in Europa, prima potremo cercare gli strumenti per mantenere in equilibrio sicurezza e libertà. Ma prima dovremo aver trovato una risposta a quest’altro interrogativo: nell’era di internet, esistono ancora la libertà e la sicurezza?

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