L’emozione dei valori
Emozionante. Il
discorso pronunciato il 21 gennaio da Barack Obama per la cerimonia del
giuramento è stato emozionante. Chi volesse risentirlo può trovarlo nel sito
del Washington Post, con video e
testo scorrevole (ringrazio mia figlia Ilaria per avermi segnalato il link). Quanti
politici nostrani sarebbero capaci di toccare così profondamente l’animo degli
ascoltatori come ha fatto Obama? Quanti sarebbero capaci di evocare i valori di
“padri fondatori” vissuti oltre 200 anni fa, senza cadere nel ridicolo? Quanti
politici, qui in Italia, sarebbero capaci di evocare Dio come creatore dell’uguaglianza
e della libertà degli uomini, senza essere accusati di essere dei clericali reazionari? Quanti, infine, sarebbero capaci di affermare che la forza
impiegata in molti scacchieri del mondo è servita per ricondurre in quei luoghi
il governo della legge e del diritto, senza sentirsi accusare di essere degli ipocriti guerrafondai al servizio delle multinazionali? Il Presidente degli
Stati Uniti d’America ha, ancora una volta, dimostrato di essere l’unico leader
occidentale in grado di affermare, con voce alta e forte, il ruolo delle idee e
dei valori in politica, senza temere critiche, senza temere conflitti.
Tra le tante
questioni affrontate nel suo discorso (dalla riforma della Sanità alle sfide
che attendono gli Americani nei prossimi anni; dal riscaldamento globale alle sofferenze
inflitte al suo popolo dalla crisi; dalle responsabilità che si devono
sostenere per garantire un futuro migliore ai figli, alla necessità di
rafforzare la ricerca e la formazione), vorrei soffermarmi solo sulle due che
mi hanno colpito ed emozionato di più.
In
un passo del discorso, insistendo sulla necessità di restare uniti per
affrontare i problemi del prossimo futuro, Obama ha detto che in passato gli
Americani hanno deciso insieme “che una moderna economia richiede
ferrovie ed autostrade per commerciare e viaggiare velocemente, scuole ed
università per preparare i lavoratori”; insieme gli Americani “hanno
compreso che il libero mercato può prosperare solo quando ci sono regole e
garanzie di leale e corretta competizione”; insieme gli Americani “hanno
deciso che una grande nazione deve tutelare i deboli e proteggere la popolazione
dai peggiori pericoli e dalle peggiori calamità della vita”. Ma, ha proseguito
Obama, allo stesso tempo gli Americani insieme, tutti quanti, non hanno
mai abbandonato lo scetticismo nei confronti dell’autorità centrale (“we have never
relinquished our skepticism of central authority”), e non hanno mai ceduto all’illusione
che i mali delle società possano essere curati solo dall’intervento dello Stato
e del governo (“nor have we succumbed to
the fiction that all societies ills can be cured through government alone”):
lo spirito di iniziativa e di impresa, l’insistenza sul duro lavoro e sulla
responsabilità personale sono i tratti distintivi del carattere degli Americani
(“Our celebration of initiative and
enterprise, our insistence on hard work and personal responsibility, these are
constants in our character”). Sono valori condivisi da tutti gli
Americani. Chi, in Italia, avrebbe potuto dire altrettanto senza essere
accusato di essere una “mosca cocchiera del capitalismo”?
Secondo passaggio. “Noi – ha affermato
Obama – sappiamo di essere fedeli alle nostre convinzioni quando una bambina
nata nella più nera povertà sa di avere la stessa possibilità di successo di
tutti gli altri perché è un’americana, è libera, è uguale non solo davanti agli
occhi di Dio, ma anche dei nostri”. Chi, in Italia, avrebbe potuto dire
altrettanto senza cadere nel ridicolo? Non solo perché da noi queste parole
sarebbero cinicamente accolte come enfatiche e sentimentali, ma soprattutto
perché in Italia una bambina nata nella più nera povertà sa di non avere le
stesse possibilità degli altri italiani, non le stesse di quegli italiani che
possono vantare appoggi e conoscenze nel mondo degli affari e della politica.
La differenza tra noi e gli Americani è
tutta in questi due passaggi del discorso presidenziale. Gli Stati Uniti sono
una nazione orgogliosa dei propri valori, tradizionali e moderni insieme, pronta a gridarli con voce
alta, pronta a difenderli con forza e spirito di sacrificio; l’Italia (e forse
gran parte dell’Europa) non crede più nei valori della modernità, li contesta e
li sabota, non intende né affermarli né difenderli, piuttosto si schiera a
difesa di chi li minaccia. Gli Stati Uniti sono una nazione orgogliosa delle
possibilità di uguaglianza che le garanzie di libertà possono consentire a
chiunque; l’Italia (e forse parte dell’Europa) ha timore della libertà, non
crede in essa e finisce così per rendere difficile, se non impossibile, anche il
perseguimento dell’uguaglianza.
Al vertice di queste differenze vi sono
le diversità della politica. Là, oltre Oceano, vi è un leader carismatico
capace di muovere gli animi e di spingerli a credere e ad agire in nome di valori
onesti, misurati ma forti; qui, da questa parte del vasto mare, vi è una classe
politica antiquata e incapace di proporre con entusiasmo la fiducia in valori tradizionali,
ma ancora potentemente moderni, come la libertà e la possibilità dell’uguaglianza.