lunedì 6 maggio 2013

Conformismo e libertà. Attualità di Mill


Vecchie parole, odierne questioni. 
Attualità di Mill



“La tendenza generale del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante. […] Oggi gli individui si perdono nella folla. In politica è quasi una banalità dire che la pubblica opinione governa oggi il mondo. L’unico potere degno del nome è quello delle masse e di quei governi che si fanno organi delle tendenze e degli istinti delle masse. Ciò vale sia nelle relazioni morali e sociali della vita privata che nelle transazioni pubbliche. Quella che viene chiamata l’opinione pubblica non sempre è l’opinione del medesimo tipo di pubblico; […] ma si tratta pur sempre di una massa, ovvero della mediocrità collettiva. La cosa ancor più nuova, tuttavia, è che le masse oggi non ricevono più le loro opinioni dalle gerarchie ecclesiastiche e statali, da capi visibili o dai libri; le loro opinioni sono trasmesse da uomini molto simili a loro, i quali si rivolgono alle masse attraverso i giornali, e parlano in nome loro sull’onda del momento. Non mi lamento di tutto questo. Non affermo che il basso livello intellettuale dell’umanità richiederebbe, in generale, qualcosa di meglio; ma ciò non toglie che il governo della mediocrità sia un governo mediocre. […] Ora che le opinioni delle masse di semplici uomini medi sono diventate o stanno diventando il potere predominante, il contravveleno e il correttivo  a questa tendenza sarebbe l’individualità sempre più pronunciata di chi riesce a raggiungere le più alte vette del pensiero. È soprattutto in queste circostanze che gli individui dovrebbero esser incoraggiati ad agire diversamente dalle masse, anziché esserne dissuasi. […] Nella nostra epoca, il semplice esempio di anticonformismo, il mero rifiuto di piegarsi alla consuetudine è di per se stesso un servigio all’umanità.”
 
John Stuart Mill (1806-1873)
Chi scrive queste parole? Si potrebbe pensare a qualcuno che stia commentando l’incedere trionfale della banalità che circola in rete e che stia stigmatizzando il conformismo che la domina. Un uomo dei nostri tempi, quindi? Un giornalista, un intellettuale, un artista vivente? Niente affatto: è un uomo vissuto oltre 150 anni fa. Si tratta del filosofo inglese John Stuart Mill (1806-1873). Il brano che avete letto è tratto dall’opera On Liberty, pubblicata nel 1859 (Sulla libertà, tr. it. Roma, La Biblioteca di Libero, 2005, pp. 95-96). Secondo Mill, correre dietro al volere della pubblica opinione, cercare di assecondarla il più possibile, emarginare e persino ostracizzare le minoranze con il biasimo di massa diffuso dai mezzi di comunicazione, è un danno culturale e sociale di proporzioni colossali: l’umanità ne pagherà prima o poi a caro prezzo le conseguenze. Privare la civiltà della forza creativa dell’originalità e dell’individualità, in qualsiasi modo esse si esprimano, la indebolisce e la priva di vitalità: essa, prima o poi, “non resisterebbe al minimo scontro con qualsiasi cosa veramente viva e non vi sarebbe motivo che la civiltà non perisca, come è avvenuto nel caso dell’impero di Bisanzio” (op. cit., p. 93).



Seguiamo ancora l’argomentazione del filosofo:
“L’assimilazione va sempre crescendo: favorita da tutti i mutamenti politici di questo periodo, che tendono invariabilmente a innalzare chi sta in basso e viceversa. La favorisce ogni estensione dell’istruzione, poiché questa pone gli uomini sotto le stesse influenze e rende accessibili i medesimi fatti e i medesimi sentimenti. La promuove ogni progresso nei mezzi di comunicazione, mettendo a contatto personale gli abitanti di luoghi lontani, e incoraggiando rapidi e frequenti spostamenti di residenza da un posto all’altro. La favorisce l’espansione del commercio e dell’industria manifatturiera, diffondendo sempre più ampiamente gli agi della vita, e offrendo alla competizione generale anche i più elevati oggetti di ambizione; per cui il desiderio di elevarsi non appartiene più ad una classe privilegiata, ma a tutte le classi. Ma un fattore ancor più influente di tutti questi, nel produrre la generale somiglianza degli uomini, è il predominio, ormai consolidato, in Inghilterra come negli altri paesi liberi, della pubblica opinione sullo Stato. […] Non vi è più alcun potere indipendente nella società che, nel contrapporsi al predominio del numero, mostri interesse a prendere sotto la sua protezione opinioni e tendenze divergenti da quelle del grande pubblico. La combinazione di tutte queste cause dà corpo a una massa così grande di influenze ostili all’individualità, che non è facile immaginare come essa possa resistere. Incontrerà difficoltà sempre maggiori se non si riesce a farne comprendere il valore alla parte più intelligente del pubblico e a convincerla che la diversità è necessaria, anche se non sempre è migliore e talvolta può sembrare peggiore di ciò che è comunemente accettato. […] È solo resistendo fin dall’inizio che si possono sconfiggere gli abusi. La pretesa che tutti gli altri ci rassomiglino cresce quanto più la si nutre. Se si aspetta ad opporle resistenza fino a quando la vita non sarà quasi interamente ridotta ad un tipo uniforme, tutto ciò che si discosta da esso finirà con l’essere considerato empio, immorale, se non addirittura mostruoso e contro natura. Gli uomini diventano rapidamente incapaci di comprendere la diversità quando per qualche tempo si sono disassuefatti a vederla” (op. cit., pp. 103-104).

Il mondo attuale, proseguiva Mill, non si oppone al progresso “al contrario; ci lusinghiamo di essere le persone più progressive che siano mai esistite” (op. cit., p. 101). Non è il progresso il nemico della società di massa: è l’individualità, è ad essa che il mondo massificato “muove guerra” (ibidem). “Se riuscissimo a renderci tutti uguali penseremmo di aver fatto meraviglie, dimenticando che la differenza tra due persone è di solito il primo elemento che richiama l’attenzione di entrambe alla propria imperfezione e all’altrui superiorità, o alla possibilità di produrre qualcosa di migliore di entrambe combinando i meriti rispettivi” (ibidem). Progresso e libertà individuale, quindi, non è detto che camminino nella stessa direzione.


Che senso ha proporre oggi la riflessione su queste parole? Credo che ne abbia molto. I sistemi di comunicazione di massa che utilizziamo apparentemente ci rendono liberi: possiamo tenerci in contatto visivo con amici che abitano dall’altra parte del globo; possiamo operare da casa, grazie ad internet, per alcuni compiti che riguardano il nostro lavoro; possiamo accedere ad ogni tipo di informazione, o quasi, che sia raggiungibile dalla nostra postazione; possiamo interagire con altri, singoli o gruppi, per condividere esperienze, notizie, dati, contenuti e persino decisioni; possiamo, infine, influenzare chi ci governa attraverso i sistemi di comunicazione telematici. L'avanzata del Web 2.0 è stata impetuosa. È innegabile che ciò sia un progresso e che aumenti gli spazi di partecipazione e di opportunità per molte più persone rispetto a prima; è innegabile, infine, che questi sistemi possano amplificare la libertà del singolo e metterlo nelle condizioni di imprimere il suo segno sulle vicende sociali, culturali e politiche.
 
René Magritte, Golconda (1953)
Allo stesso tempo, però, questi stessi sistemi espongono l’individuo ad una potente e inarrestabile pressione: quella dell’opinione comune che tende ad assimilare, ad appiattire le differenze, a costruire miti da condividere, ad eliminare le differenze. In altre parole, lo espone ad una potente forza conformistica che ne schiaccia l’individualità. Non è facile resistere all’azione di questa forza, occorrono coraggio, intraprendenza, spirito critico, cultura, capacità di argomentare. Più aumenta la spinta conformistica, più essa si avvale di nuovi e più potenti mezzi, più diviene pervasiva e capace di condizionare persino le più minute scelte della vita quotidiana (come avviene per le mode comportamentali in voga in rete, che influenzano massicciamente i più giovani), e più diventa difficile resisterle, più è richiesto un salto di competenze e di conoscenze per farlo, un salto anche caratteriale, costituito da maggiore determinazione e da maggiore coraggio, al fine di mantenere una volontà libera e indipendente.


Eugenij Zamjatin (1884-1937)
“Formare un popolo tutto uguale”, come scriveva Mill, un popolo “i cui pensieri e le cui azioni sono guidati dalle stesse massime e norme” è l’obiettivo inseguito da oltre 150 anni dalla moderna opinione pubblica. Il suo dominio era già considerato un “giogo” pericoloso alla metà del XIX secolo, come attestano le parole di Mill. Oggi questo giogo sembra essersi ormai impossessato della mente della maggioranza degli abitanti del mondo. Di quanto spazio, ancora, può godere l’anticonformismo culturale? Quanto tempo ancora potrà sopravvivere l’opinione individuale, libera, indipendente, contro corrente? Siamo già entrati nel Brave New World della distopia di Huxley (1932)? O, peggio, la distopia che stiamo edificando assomiglia a quella dipinta nel romanzo di Eugenij Zamjatin, Noi (1921, tr. it. Milano, Feltrinelli, 1963), in cui si narra la vita di una società nella quale il libero arbitrio è considerato la causa della infelicità umana, e quindi è bandito e contrastato, curato e debellato come fosse una malattia infettiva? Stiamo già preparandoci un futuro di conformismo totalitario?



Aldous Huxley (1894-1963)