lunedì 13 maggio 2013

Reddito di cittadinanza: l'esperienza tedesca ci può insegnare qualcosa?


Innovazione rivoluzionaria o demagogia?



Secondo l’Huffingtonpost dell’11 maggio, il “reddito di cittadinanza” erogato in Germania ai giovani disoccupati (un salario di inoccupazione, più il costo dell’alloggio: totale, circa 1000 euro mensili) avrebbe generato in quel paese almeno 7,3 milioni di precari, sottopagati, sotto tutelati, praticamente sfruttati come schiavi moderni (cfr. Guido Salerno, Reddito di cittadinanza, in Germania ha reso precari 7,5 milioni di lavoratori, Huffingtonpost, 11 maggio 2013). Perché? Perché grazie al reddito di cittadinanza, gli imprenditori possono assumere a tempo determinato giovani lavoratori pagando loro uno stipendio ridicolo, di circa 400 euro lordi al mese, e versando meno di 130 euro di contributi. Il reddito di cittadinanza in Germania, commenta Guido Salerno, autore dell’articolo, è un “Bengodi dei datori di lavoro che hanno a disposizione milioni di sudditi mantenuti con un’elemosima”. Se la disoccupazione in Germania è bassa si deve a questa situazione: milioni di giovani mantenuti dallo Stato (perciò neppure stimolati a cercare un’occupazione qualificata o a pretendere una formazione superiore), che si accontentano di essere sfruttati dalle aziende per un tozzo di pane. Tanto, alla fine dei conti, 1400-1500 euro, tra sussidio e lavoro malpagato, li portano a casa: perché ammattirsi per una sistemazione migliore?


L’autore conclude affermando che questo genere di riforme, se attuate in tutto il continente, produrrà la “cinesizzazione” dell’Europa: imprese che pagano male e versano pochissimi contributi, Stati che mantengono la plebe a carico di tutti i contribuenti. Se un giovane volesse trascorrere l’intera carriera lavorativa in questo modo (pagato circa 7 ore lorde all’ora), maturerebbe una pensione di 140 euro al mese e diventerebbe, da anziano, un povero assoluto. “Il reddito di cittadinanza – scrive Salerno - è un trucco. Chiamiamolo con il suo vero nome: elemosina per la sudditanza”. E la cosa più grave è che il popolo stesso la chiede: “l’ultima grande trovata è dar voce al popolo affinché chieda lui stesso di tornare alla servitù, per essere mantenuto appena con un’elemosina”.


 
Tito Boeri
Non ho conoscenze specifiche in materia di “reddito di cittadinanza”, ma so che in Europa sono molti i paesi ad avere adottato misure simili, se non proprio identiche. Poiché da noi questa idea non è stata ancora realizzata, dovremmo avere il vantaggio di osservare l’esperienza altrui per evitare errori grossolani o pericolosi salti nel buio. Non mi riferisco solo all’esperienza tedesca di cui dà notizia l’Huffingtonpost; mi riferisco anche a studi già effettuati sulla questione dagli economisti, prima ancora che Grillo ne fosse il banditore. Ad esempio, secondo lavoce.info di Tito Boeri, una cosa è il reddito di cittadinanza, un’altra è il reddito minimo garantito (cfr. Tito Boeri e Roberto Perotti, Reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito, in lavoce.info, 5 marzo 2013). Il primo, proposto a gran voce (anzi, urlato) da Grillo e dal suo movimento, è uno strumento universalistico e indifferenziato, che dovrebbe essere erogato ad ogni cittadino italiano maggiorenne. Ricco o povero che sia, proveniente da una famiglia di evasori o di onesti contribuenti non farebbe differenza: la cittadinanza gli darebbe diritto a percepirlo. Costo complessivo stimato da lavoce.info (calcolando circa 500 euro lordi a testa, somma ipotizzata in modo prudenziale, per i 50 milioni di italiani con più di 18 anni) circa 300 miliardi di euro, il 20 per cento del Pil. Chi dovrebbe pagare per un salasso simile?




Altra cosa, si diceva, sarebbe il reddito minimo garantito (RMG): questo, non il reddito di cittadinanza, sarebbe stato adottato, secondo lavoce.info, da 15 paesi della UE. Il RMG è uno strumento ugualmente universalistico, ma selettivo al tempo stesso: “nel senso che è basato su regole uguali per tutti […] che subordinano la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi lo domanda”. Il costo stimato da Boeri e Perotti per questo intervento si aggirerebbe tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Il RMG, concludono i due economisti, “andrebbe inizialmente introdotto a un livello abbastanza basso e poi incrementato anche come riconoscimento di un miglioramento nell’amministrazione dello strumento”.

Una cosa è certa: buttarsi alla cieca su formule nuove senza averne valutato le possibili conseguenze, accoglierle in modo entusiastico solo perché urlate nelle piazze o perché “lo vuole il popolo” non è una buona idea. Al solito, occorre distinguere tra demagogia ed evidenza delle cose, tra “principio del piacere” e “principio di realtà”. Confrontare, informarsi, studiare, prima di decidere, dovrebbe essere la regola, come insegnava decenni fa Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare”. Oggi, invece, sembra essere un’altra la strada che amano percorrere molti italiani (e i loro rappresentanti politici): assecondare il ventre della nazione, accogliere ogni moda purché sia presentata (possibilmente insultando e berciando) come “anti”: anticasta, antipolitica, antiparlamento.



Rincorrere le proposte roboanti di leader nevrotici e frustrati può rivelarsi non solo pericoloso per la democrazia, ma anche un pessimo affare economico. Non dovremmo dimenticare che quei leader, lungi dall’essere “il nuovo che avanza”, non corrono nessun rischio se la nave Italia naufraga tra i flutti della tempesta economica. Hanno già guadagnato abbastanza con la loro attività politico-imprenditoriale, perciò possono far correre alla nazione il rischio di affondare, tanto loro rimarrebbero a galla comunque. I problemi sarebbero per gli altri, quelli che vivono esclusivamente del proprio lavoro e che, se fallisce la nazione, non avrebbero più alcuna fonte di reddito. Compresi quelli che hanno votato Grillo.