Innovazione
rivoluzionaria o demagogia?
Secondo l’Huffingtonpost dell’11 maggio, il “reddito
di cittadinanza” erogato in Germania ai giovani disoccupati (un salario di
inoccupazione, più il costo dell’alloggio: totale, circa 1000 euro mensili)
avrebbe generato in quel paese almeno 7,3 milioni di precari, sottopagati, sotto
tutelati, praticamente sfruttati come schiavi moderni (cfr. Guido Salerno, Reddito di cittadinanza, in Germania ha reso precari 7,5 milioni di lavoratori, Huffingtonpost, 11 maggio 2013). Perché? Perché grazie al reddito di cittadinanza, gli
imprenditori possono assumere a tempo determinato giovani lavoratori pagando
loro uno stipendio ridicolo, di circa 400 euro lordi al mese, e versando meno di
130 euro di contributi. Il reddito di cittadinanza in Germania, commenta Guido
Salerno, autore dell’articolo, è un “Bengodi dei datori di lavoro che hanno a
disposizione milioni di sudditi mantenuti con un’elemosima”. Se la
disoccupazione in Germania è bassa si deve a questa situazione: milioni di
giovani mantenuti dallo Stato (perciò neppure stimolati a cercare un’occupazione
qualificata o a pretendere una formazione superiore), che si accontentano di
essere sfruttati dalle aziende per un tozzo di pane. Tanto, alla fine dei
conti, 1400-1500 euro, tra sussidio e lavoro malpagato, li portano a casa:
perché ammattirsi per una sistemazione migliore?
L’autore conclude affermando
che questo genere di riforme, se attuate in tutto il continente, produrrà la “cinesizzazione”
dell’Europa: imprese che pagano male e versano pochissimi contributi, Stati che
mantengono la plebe a carico di tutti i contribuenti. Se un giovane volesse
trascorrere l’intera carriera lavorativa in questo modo (pagato circa 7 ore
lorde all’ora), maturerebbe una pensione di 140 euro al mese e diventerebbe, da
anziano, un povero assoluto. “Il reddito di cittadinanza – scrive Salerno - è
un trucco. Chiamiamolo con il suo vero nome: elemosina per la sudditanza”. E la
cosa più grave è che il popolo stesso la chiede: “l’ultima grande trovata è dar
voce al popolo affinché chieda lui stesso di tornare alla servitù, per essere mantenuto
appena con un’elemosina”.
Non ho conoscenze specifiche
in materia di “reddito di cittadinanza”, ma so che in Europa sono molti i paesi
ad avere adottato misure simili, se non proprio identiche. Poiché da noi questa
idea non è stata ancora realizzata, dovremmo avere il vantaggio di osservare l’esperienza
altrui per evitare errori grossolani o pericolosi salti nel buio. Non mi
riferisco solo all’esperienza tedesca di cui dà notizia l’Huffingtonpost; mi riferisco anche a studi già effettuati sulla
questione dagli economisti, prima ancora che Grillo ne fosse il banditore. Ad
esempio, secondo lavoce.info di Tito
Boeri, una cosa è il reddito di cittadinanza, un’altra è il reddito minimo
garantito (cfr. Tito Boeri e Roberto Perotti, Reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito, in lavoce.info, 5 marzo 2013). Il primo, proposto a gran voce (anzi, urlato) da Grillo e dal
suo movimento, è uno strumento universalistico e indifferenziato, che dovrebbe
essere erogato ad ogni cittadino italiano maggiorenne. Ricco o povero che sia,
proveniente da una famiglia di evasori o di onesti contribuenti non farebbe
differenza: la cittadinanza gli darebbe diritto a percepirlo. Costo complessivo
stimato da lavoce.info (calcolando
circa 500 euro lordi a testa, somma ipotizzata in modo prudenziale, per i 50
milioni di italiani con più di 18 anni) circa 300 miliardi di euro, il 20 per
cento del Pil. Chi dovrebbe pagare per un salasso simile?
Altra cosa, si diceva,
sarebbe il reddito minimo garantito (RMG): questo, non il reddito di cittadinanza,
sarebbe stato adottato, secondo lavoce.info,
da 15 paesi della UE. Il RMG è uno strumento ugualmente universalistico, ma
selettivo al tempo stesso: “nel senso che è basato su regole uguali per tutti […]
che subordinano la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e
patrimonio di chi lo domanda”. Il costo stimato da Boeri e Perotti per questo
intervento si aggirerebbe tra gli 8 e i 10 miliardi di euro. Il RMG, concludono
i due economisti, “andrebbe inizialmente introdotto a un livello abbastanza
basso e poi incrementato anche come riconoscimento di un miglioramento nell’amministrazione
dello strumento”.
Una cosa è certa: buttarsi
alla cieca su formule nuove senza averne valutato le possibili conseguenze,
accoglierle in modo entusiastico solo perché urlate nelle piazze o perché “lo
vuole il popolo” non è una buona idea. Al solito, occorre distinguere tra
demagogia ed evidenza delle cose, tra “principio del piacere” e “principio di
realtà”. Confrontare, informarsi, studiare, prima di decidere, dovrebbe essere
la regola, come insegnava decenni fa Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare”.
Oggi, invece, sembra essere un’altra la strada che amano percorrere molti
italiani (e i loro rappresentanti politici): assecondare il ventre della nazione,
accogliere ogni moda purché sia presentata (possibilmente insultando e
berciando) come “anti”: anticasta, antipolitica, antiparlamento.
Rincorrere le proposte
roboanti di leader nevrotici e frustrati può rivelarsi non solo pericoloso per
la democrazia, ma anche un pessimo affare economico. Non dovremmo dimenticare che
quei leader, lungi dall’essere “il nuovo che avanza”, non corrono nessun
rischio se la nave Italia naufraga tra i flutti della tempesta economica. Hanno
già guadagnato abbastanza con la loro attività politico-imprenditoriale, perciò
possono far correre alla nazione il rischio di affondare, tanto loro
rimarrebbero a galla comunque. I problemi sarebbero per gli altri, quelli che
vivono esclusivamente del proprio lavoro e che, se fallisce la nazione, non
avrebbero più alcuna fonte di reddito. Compresi quelli che hanno votato Grillo.