martedì 21 maggio 2013

Dalle folle fedeli alle folle compulsive


È cominciata l'era della "democrazia del pubblico"?


Proprio tre giorni fa Giovanni Belardelli sul Corriere della sera (si veda: La diffidenza per il leader, Corriere della sera,18/5/2013) ricordava il saggio del filosofo statunitense Bernard Manin intitolato Principi del governo rappresentativo, tradotto in italiano e pubblicato da Il Mulino nel 2010. Un libro molto utile per comprendere i cambiamenti della politica nell’epoca della fine delle ideologie e del trionfo dei social network. Proprio ieri, l’insurrezione contro la giornalista Milena Gabanelli, messa in atto dai lettori del blog di Grillo, sembra confermare la tesi di fondo di quel libro.
 
Il filosofo Bernard Manin
Manin sostiene che il crollo delle ideologie e la rivoluzione telematica hanno decretato la fine della democrazia rappresentativa basata sui partiti. I partiti cui si riferisce l’autore sono quelli di massa, dotati di un’organizzazione permanente e di un’identità ideologica ben definita e riconoscibile, organizzazioni sorte, com’è noto, tra XIX e XX secolo, e capaci di dominare la scena politica mondiale per tutto il Novecento. Ma lo stemperarsi delle identità ideologiche dopo il crollo del comunismo e la diffusione della tecnologia della comunicazione non solo hanno tolto spazio a queste organizzazioni, ma hanno fatto emergere, se non proprio affermare, una realtà nuova: la democrazia del pubblico. Mentre le masse organizzate nei partiti erano disciplinate e si identificavano con una fede ideologica, il pubblico odierno è anarchico, acefalo, privo di identità ideologica e soprattutto volubile. Alla fede si è sostituito il desiderio; alla convinzione ideale si è sostituita l’irrequietezza; alla rivoluzione il flash mob. La relazione verticale tra partito e seguace è sparita, è comparsa invece la relazione orizzontale-compulsiva, e il pubblico ora pretende di essere protagonista, di farsi notare, di emergere dalla folla almeno per un istante: il pubblico non accetta più di essere spettatore, ma vuole diventare attore del dibattito politico.
 
Un recente flash mob: manifestazione politica o spettacolo?

In realtà i partiti non scompariranno del tutto, secondo Manin, ma si trasformeranno in strutture leggere e temporanee, legate ad una congiuntura particolare o ad una tendenza del momento; ma soprattutto si riuniranno attorno ad un leader. La “personalizzazione della relazione di rappresentanza”, così la chiama l’autore, caratterizzerà sempre di più il rapporto tra elettori e politica e si frantumerà in tanti luoghi e in tanti percorsi quante saranno le occasioni di formazione di una leadership attorno ai problemi cruciali del momento.


Nell’epoca della democrazia del pubblico si può diventare leader in un’ora, basta trovare l’espressione giusta da collocare nel social network più seguito: i vecchi percorsi di formazione delle classi dirigenti dei partiti non hanno più alcuna capacità di selezione politica, né il pubblico sembra più fidarsi del “professionismo della politica”. Naturalmente il leader può essere abbandonato da un momento all’altro dai suoi temporanei sostenitori, non appena il vento dell’opinione in rete cambia direzione. Perciò è divenuto importante, per chi voglia vincere una contesa elettorale, puntare tutto sul proprio carisma, piuttosto che su un programma realizzabile: “per i candidati è razionale presentare le proprie qualità personali e la propria predisposizione a prendere buone decisioni piuttosto che legarsi le mani con promesse specifiche” (B. Manin, op. cit., p. 246). Se le folle del Novecento erano fideistiche e il loro consenso quasi inamovibile (specie in paesi come il nostro, dove l’identità ideologica è stata sempre fondamentale nella competizione politica), le folle del Web 2.0 sono tanto viscerali quanto scettiche, capaci di infiammarsi per una causa modestissima, ma anche prive di rispetto e di deferenza nei confronti di chiunque. Le folle telematiche si muovono sull’onda dello stimolo attuale, sono compulsive, impazienti, instabili; perciò anche insolenti e irriverenti. Nessun politico può pretendere di godere troppo a lungo del loro appoggio.
 
Milena Gabanelli, durante la trasmissione di
Report del 19 maggio
La vicenda della giornalista di Report, Milena Gabanelli, conferma questa diagnosi. Poche settimane fa il pubblico della rete “grillina” l’aveva eletta candidata al Quirinale, aveva visto in lei la vendicatrice del popolo offeso dalla casta, l’aveva definita “una di noi”. Ora, dopo la puntata di domenica sera di Report (dedicata alla scarsa trasparenza contabile e finanziaria del M5S: vedi qui), per i commentatori del blog di Grillo è divenuta la “traditrice”, l’ingrata “al servizio del Pd-Pdl” e, naturalmente, è stata  ricoperta di insulti pesantissimi (per la vicenda si veda ad  esempio repubblica.it). Come si usa fare oggi, grazie al trionfo della “nuova democrazia del vituperio”: insultare, irridere, ingiuriare, offendere. Internet offre un paravanto impenetrabile per i cittadini desiderosi di contribuire con le loro “pacate riflessioni” alle decisioni politiche; ma anche per strada non è impossibile, per un politico, imbattersi in novelli sanculotti pronti ad esprimere il loro “pensiero”: è capitato settimane or sono a Dario Franceschini (assalito e insultato da un gruppo di “cittadini arrabbiati” mentre cenava in un ristorante), e tre giorni fa a Mara Carfagna (avvicinata e insultata da alcuni individui mentre era in un supermercato).
 
Lo storico Giovanni Belardelli, editorialista
del Corriere della sera
Che il mondo stia andando verso la direzione indicata da Manin è possibile. Vero è che non si può più diffidare della leadership individuale, come ha giustamente osservato Belardelli nell’articolo del Corriere che ricordavo all’inizio. La sinistra negli ultimi vent’anni ha ritenuto che la figura di un leader forte fosse “qualcosa di destra, di inevitabilmente berlusconiano, e perciò da respingere” (G. Belardelli, art. cit.). In tal modo non solo rischia di perdere il consenso di un elettorato sempre più volubile, ma corre il pericolo di frantumarsi e di scomparire. Un buon leader invece è auspicabile: dovrebbe conquistare il favore dell’elettorato con le doti del proprio carisma, ma attorno a lui dovrebbero poi trovare stabilità alcune idee di fondo sulle quali erigere un programma credibile; un buon leader dovrebbe essere capace di trasformare la tendenza centrifuga delle folle compulsive in forza costruttiva e persistente, dovrebbe quindi saper educare quelle folle a credere nella continuità, nella solidità, nella durata di un progetto politico. I partiti potranno anche essere leggeri, in un futuro prossimo che ormai è alle porte; i leader dovranno forse essere carismatici, come Weber profetizzò già all’inizio del XX secolo; ma i governi, se vogliono davvero governare, dovranno durare.
Max Weber (1864-1920)

La persistenza e la perseveranza non è amata dal popolo del Web 2.0, questo lo sappiamo: è una comunità liquida, priva di ubi consistam. Il problema grave è costituito dal fatto che alcuni hanno fatto di questa liquidità un feticcio e l’hanno usata per fondare la propria fortuna politica, stimolando la rabbiosa volubilità del cittadino internet-dipendente, vellicandone la tetra volgarità, titillandone l’oscura ignoranza. Se questa è l’aurora italiana della democrazia dei pubblici, allora dobbiamo ammettere che ci aspettano anni difficili e perigliosi: forse sta per iniziare l’era del cesarismo, di cui scrisse Spengler all’alba del XX secolo. Ma il visionario filosofo tedesco scorgeva dopo essa il tramonto dell’Occidente: auguriamoci di non imboccare davvero quella strada, perché l’esultanza delle folle compulsive del Web ci impedirebbe di scorgere, nel tripudio generale, il baratro aperto di fronte a noi.

Oswald Spengler (1880-1936), autore del
discusso Il tramonto dell'Occidente (1918-1922)