giovedì 20 giugno 2013

Lo showdown nel M5S

Siamo all’agonia del movimento?




Chiedo preventivamente scusa ai miei affezionati lettori: non si dovrebbe mai proclamare “l’avevo detto!”, perché suona presuntuoso. Ma stavolta mi scappa proprio di dirlo: l’avevo scritto nel post del 26 febbraio (Le elezioni del 24 febbraio. Errori e populismi) e in quello del 10 marzo (Grillo e il M5S: cosa vogliono davvero?). Avevo scritto che il M5S andava incontro a dissensi interni e a gravi spaccature, a causa del suo arrogante rifiuto di allearsi con altri partiti per governare; e, in secondo luogo, avevo scritto che il problema di questo movimento era costituito da Grillo, non dall’inesperienza dei deputati. Anzi, ho invitato più volte i neoeletti e la base dei Cinquestelle a ribellarsi al loro incontinente e autoritario leader, a liberarsi della zavorra costituita dalla sua inconcludente violenza verbale. Ora sembra che le mie previsioni fossero azzeccate.
L'ex senatrice 5Stelle Adele Gambaro

Dico questo (con malcelato orgoglio, lo riconosco), perché non solo i giornalisti lo scrivono finalmente in modo aperto, ma anche la senatrice Gambaro, da poche ore espulsa dal M5S, l’ha affermato esplicitamente nella sua coraggiosa e sciagurata intervista rilasciata a Sky24, dopo la sconfitta alle elezioni amministrative: “Stiamo pagando i toni di Beppe Grillo, dei post del suo blog. […] il problema del Movimento è Grillo” (cfr. sky.it). In realtà, Tersite è stato facile profeta: i segnali provenienti dai pentastellati parlavano da soli. Per il futuro prossimo è invece più difficile esprimersi.

L'intervista della sen. Gambaro a Sky24

L'on. Paola Pinna intervistata da Piazzapulita
Non so, al momento attuale, come finirà la bagarre interna al movimento. Per ora, si sa che il voto on line della base 5Stelle si è espresso con il 65% a favore dell’espulsione della Gambaro (vedere Corriere.it), e ciò è un segnale ulteriore di divisione. Non sappiamo come finirà il caso dell’altra deputata temeraria, Paola Pinna, la quale, in un’intervista rilasciata alla Stampa il 18 giugno (e ribadita in tv, a Piazzapulita), ha affermato che il clima creato nel M5S dai metodi di Grillo e dei suoi fedelissimi è da “psicopolizia”: “Se non sei d’accordo dicono che è per soldi o perché sei del Pd: ti delegittimano” (cfr. Corriere.it). Non sappiamo, infine, se questi dissensi interni condurranno davvero ad una spaccatura del movimento, anche se, su tutti questi avvenimenti, sia i deputati sia la rete sono già profondamente divisi. In ogni caso, e a costo di ripetermi, fin da ora traggo alcune inevitabili conclusioni dai quattro mesi di esperienza parlamentare del partito di Grillo.


Innanzitutto sembra fallito il progetto di rendere la politica del tutto trasparente utilizzando la rete: il mito dello streaming si è rivelato un buon argomento di propaganda, ma quasi impossibile da utilizzare nelle modalità urlate da Grillo, ovvero universalmente, sempre e ovunque in ogni sede politico-istituzionale. La politica ha aspetti che non possono, per loro natura, essere sottoposti alla visione diretta del pubblico, pena il verificarsi di quello che io chiamo “effetto Grande Fratello” (mi riferisco all’orrido reality show andato in onda per anni sulle reti Mediaset): ovvero la distorsione della realtà, l’insincerità degli atteggiamenti, la falsità delle affermazioni vendute come verità e come realtà oggettiva. Sotto i riflettori e davanti ad una telecamera ogni politico reciterebbe un ruolo a beneficio del proprio consenso, a svantaggio della franchezza e dell’onestà. Ancor più persuasivo è il fatto che la maggioranza dei deputati (l’altro ieri), e Grillo stesso (in occasione dei suoi incontri con i gruppi parlamentari), scelgano sistematicamente di non usare lo streaming quando si tratta di rendere trasparenti le loro decisioni: prova evidente della debolezza della proposta e dell’infondatezza dei suoi presupposti. La rete non è francescana, né anticapitalista (come asserito da Grillo-Casaleggio nel libro Siamo in guerra); l’espulsione via web della Gambaro, avvenuta senza dare a questa alcuna possibilità di difesa, come ricorda Federico Mello sull’Huffington Post, ha ucciso “la libertà di critica che muore sotto gli applausi scroscianti della Rete” (F. Mello, Così muore la libertà, sotto gli applausi scroscianti della Rete, Huffington Post, 19/6/2013). Non è vero che in rete “uno vale uno”: Grillo e Casaleggio “valgono” più degli altri utenti, “sono più uguali degli altri”, per usare la nota espressione orwelliana.


In secondo luogo si è infranto il proposito di fare del M5S la testa d’ariete che avrebbe sfondato il muro di cinta della politica, cambiando radicalmente il rapporto tra istituzioni e cittadini. Il movimento si è infatti chiuso a riccio su se stesso, geloso della propria presunta diversità e della propria presunta purezza, ritenute ben più importanti delle riforme di cui l’Italia ha bisogno. Di qui l’attenzione maniacale per la rendicontazione delle spese, la polemica sulle diarie, l’attesa spasmodica per il “Restitution day”, fissato per il 16 giugno e per ora saltato e non più celebrato, il rifiuto categorico a mescolarsi con “gli altri” (i partiti, i giornali, le televisioni), la fiducia esclusiva nel “popolo della rete”, il controllo poliziesco sulle affermazioni dei deputati, puntualmente censurati (e soggetti a procedura di espulsione) se si azzardano a criticare il Grillo-pensiero.


In terzo luogo, conseguenza di questo stato di cose, non si è mai risolto il problema della democrazia interna al movimento, anzi, la questione non è mai stata percepita come meritevole di attenzione da parte del leader. Tutta l’organizzazione del M5S, infatti, si basa su una delega in bianco sottoscritta dai candidati, al momento della loro affiliazione, a favore della coppia Grillo-Casaleggio. Il che significa compattezza attorno ai capi e rifiuto di qualsiasi dialettica interna, poiché i grillini, con quell’atto di sottomissione, hanno accettato la “visione del mondo” di Grillo, rinunciando alla propria libertà di opinione. Come ricorderanno i lettori più attenti, che il programma del M5S non fosse proprio un programma, ma appunto una metafisica “visione del mondo”, che si sarebbe dovuta precisare in seguito, lo dichiarò lo stesso Grillo nella famosa intervista rilasciata a Time nel marzo 2013 (di cui mi sono occupato nel post del 10.3): “Lo stiamo ancora discutendo. […] Dateci tempo. […] Non è un piano politico. È una visione del mondo”, rispose il comico al giornalista che gli chiedeva di illustrare i punti del programma con cui M5S si era da poco presentato alle elezioni. Gli affiliati, quindi, non hanno sottoscritto un programma, ma appunto un’ ideale, uno scopo spirituale, una fede che solo Grillo è autorizzato a declinare in proposte operative. Le stesse procedure di espulsione, presentate come l’alfa e l’omega della democrazia diretta solo perché avvengono on line, sono in realtà partecipate da poche migliaia di persone (cfr. ancora Corriere.it o Repubblica.it: per il caso Gambaro hanno votato 19700 persone su oltre 48000 aventi diritto, meno della metà; a favore dell’espulsione si sono espressi in 13000: nemmeno l’immaginazione di un sessantottino potrebbe definire costoro “il popolo del web”!).


In quarto ed ultimo luogo, congelando i propri voti e rendendoli indisponibili per qualsiasi politica, Grillo ha impedito alla propria creatura di incidere sulle scelte, di spingere per il cambiamento, di proporre traguardi riformatori all’altezza delle promesse fatte durante la campagna elettorale.


L’esperienza grillina, insomma, potrebbe avere imboccato il viale del tramonto. Se dovesse finire del tutto, di essa rimarrebbe poco di positivo (nel senso di propositivo, affermativo, favorevole); resterebbe invece molto di negativo (nel senso di opposto, avverso, ostile): la rabbia di milioni di italiani scontenti della politica, le urla catastrofiste di Grillo, le brutte figure di alcuni parlamentari, l’autoreferenzialità del movimento, le assonanze della sua ideologia con quelle totalitarie. Il mito della democrazia diretta svanirebbe tanto rapidamente quanto frettolosamente è stato accettato da un quarto dell’elettorato italiano. Il dispotismo di un leader bilioso, risentito contro i mass media e contro l’establishment, avrebbe ucciso nella culla il suo stesso figlio. Domani, se il M5S scomparirà, sarà un po’ più difficile parlare di rinnovamento della politica: di fronte a certe sparate propagandiste è possibile che gli italiani diventino un po’ più diffidenti verso chi propone “il nuovo”. È possibile, cioè, che si diffonda un sentire politico più conservatore. E se questo sarà l’esito della breve esperienza grillina, non possiamo dichiararci soddisfatti: perché proprio il nuovo serve oggi all’Italia, un nuovo che sia giovane, forte, ottimista, credibile. Ma soprattutto realistico.