domenica 6 ottobre 2013

Tersite ritorna. Le radici dell’impasse della politica italiana.

Dopo una lunga pausa eccomi di nuovo qui. Lavoro, famiglia e salute mi hanno bloccato per troppo tempo, ma non ho mai smesso di pensare a Tersite e ai miei venticinque lettori. E ora... si ricomincia!



Tre fattori di gravità crescente

Forse apparirò ripetitivo, ma credo che l’impasse in cui si trova il sistema politico italiano sia riconducibile a tre fattori di gravità crescente. Gravità qui non ha un significato morale (“serietà”, “preoccupazione”, “pericolosità”) ma indica più freddamente una “misura”, cui allude l’etimologia stessa della parola: in latino l’aggettivo gravis significa “pesante”. Quindi, i fattori che elencherò hanno avuto appunto un “peso” via via maggiore, un impatto sul sistema politico mano a mano più visibile, meno imponderabile e, appunto, più “grave”.
 
Manifesto dei DS per le elezioni del 2006
Partiamo dal meno “grave”. L’incapacità del Pd, e a suo tempo dei Ds, di mettere mano a quelle riforme che avrebbero reso più moderna la nazione e le avrebbero forse evitato il baratro presente. Indico tre riforme che nell’epoca del governo Prodi vennero presentate come necessarie e imminenti: privatizzazioni e liberalizzazioni autentiche; legge elettorale in senso maggioritario; severe norme sul conflitto di interessi. A queste ne aggiungo una che era nelle possibilità del centro-sinistra attuare e che avrebbe incontrato l’appoggio bipartisan di forze politiche all’opposizione: la riforma della giustizia, comprendente la rigida separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, l’eleggibilità dei pm, la responsabilità civile dei giudici. Questi interventi avrebbero forse consentito di mettere mano in modo sereno a sostanziali riforme costituzionali.
 
Dal PCI al PD
I Ds non riuscirono ad attuare quelle riforme quando avrebbero potuto, ovvero quando erano al governo; il Pd non ha saputo fare di queste proposte i contenuti centrali delle sue campagne elettorali, specie dell’ultima. Qualche perfido osservatore della politica italiana ha commentato che il centro-sinistra non ha voluto realizzare le riforme (specie quella sul conflitto d’interesse), per poter vivere di rendita elettorale attraverso l’antiberlusconismo, ovvero: mantenendo in vita il suo avversario avrebbe avuto un nemico a cui addebitare tutti i mali del Paese. Non respingo del tutto questo punto di vista, ma faccio notare ai più incalliti dietrologi che se l’ideologia antiberlusconiana è stata la bandiera del centro sinistra negli ultimi vent’anni, è perché gli eredi del Partito comunista non hanno avuto mai le idee chiare sul programma da seguire.


Realizzare le riforme che ho elencato sopra avrebbe significato dichiararsi completamente fuori dall’area della sinistra radicale e accettare una nuova e opposta identità politica: diciamo socialdemocratica, se non proprio liberaldemocratica. Ma, com’è noto, i Ds e il Pd hanno avuto e hanno tuttora paura di realizzare una rottura così profonda con la tradizione rivoluzionaria, poiché l’elettorato “duro” della vecchia sinistra non avrebbe compreso, mentre quella “movimentista” e “antagonista” avrebbe definitivamente voltato le spalle al centro sinistra. Entrambe queste cose sono poi accadute comunque, a causa dell’aggrovigliarsi della condotta del Pd su molte questioni, tanto da rendere incomprensibile la natura di questo partito: è di sinistra? Di centro? Liberale? Socialista? Laburista?
 
Da Forza Italia al PDL

Il secondo grave fattore che ha generato l’attuale impasse politica è provenuto dai partiti di Berlusconi (Forza Italia prima, Popolo della Libertà poi). Lo chiameremo “fattore B”. A causa di esso si sono avute le seguenti conseguenze: la forte identificazione del partito con il leader-padrone, anziché con l’ideologia; la personalizzazione della politica, che ha svuotato di idee e contenuti le proposte, sostituendole con l’appeal del candidato e con la sua capacità di contrapporsi alla sinistra; l’antipoliticità del leader, il quale si è sempre presentato al suo elettorato come alternativo al mondo della politica, contrapponendo in tal modo la società civile (mitizzata) alla politica (denigrata).
 
Forza Italia nel 1994
Il centro destra ha vinto in questo modo i confronti più importanti con i rivali, ma ha prodotto due esiti forse non voluti, ma oggi evidenti: ha contribuito come nessun altro alla delegittimazione delle stesse istituzioni che governava; non ha saputo formare un ceto politico dirigente capace di sostituire il carisma del fondatore. Per questo oggi nel PdL sono in molti ad essere terrorizzati dalla prospettiva di dover fare a meno di Berlusconi, perché non saprebbero con quale altra figura vincente sostituirlo. Per questo, ancora, lo strappo attuato da Alfano, soprattutto se dovesse produrre un nuovo soggetto politico, costituisce una grande novità nel centro-destra.

Infine, il “fattore B” ha condotto il centro destra a compiere un errore fatale: la profonda rivoluzione liberale, promessa che nel 1994 fece drizzare le orecchie anche a me, non solo non si è mai verificata, ma, possiamo dire oggi, non era neppure nelle intenzioni del suo promotore. Al contrario, aver impiegato un personale politico privo di qualità, privo di idee salvo la devozione per il capo, privo di consapevolezza della ragion di Stato e delle necessità della società, attento solo agli interessi di una parte di questa, ha prodotto faciloneria, spregiudicatezza, assenza di scrupoli, corruzione. Gli scandali del 2011 (Ruby, le “olgettine”, il bunga-bunga) sono stati solo la punta dell’iceberg: dietro essi appare evidente che il ceto politico nato con Berlusconi è formato in buona parte da individui emersi dalla più oscura provincia italiana, incolta, maneggiona, eticamente discutibile.
 
Copertina Time del novembre 2011, quando Berlusconi
venne travolto dagli scandali del bunga-bunga...
Il terzo grave fattore che ha generato l’attuale impasse politica è stato il grillismo. Il M5S ha usato alcuni degli stili organizzativi e comunicativi di Berlusconi (e della Lega): la forte identificazione con il capo-padrone; la personalizzazione dell’agire politico; l’antipoliticità; la denigrazione delle istituzioni e del mondo della politica. Tutto ciò, però, l’ha sostenuto con un’ideologia molto definita che si può sintetizzare in due parole: moralismo fanatico. Grillo e il suo movimento, infatti, hanno cavalcato l’indignazione dei cittadini, hanno escluso ogni collaborazione con le altre forze, si sono chiusi in uno sdegnoso isolamento, hanno trasformato i concetti morali in obiettivi politici (pulizia, onestà, sottomissione al volere dell’io collettivo).




Twitter, recente hastag di tendenza
avviato da Beppe Grillo

Così facendo, hanno collocato al centro dell’agire politico non l’osservazione della realtà e lo studio delle soluzioni possibili ai suoi problemi, ma, appunto, i valori morali, ostentati come patrimonio esclusivo del movimento. Perciò tutti coloro che non appartengono al M5S sono considerati il male, quindi nemici da annientare. Da questa ideologia discendono i metodi giacobini utilizzati dal leader e dai suoi fedelissimi: la minaccia e l’intimidazione ottenute attraverso la violenza verbale, l’insulto, il turpiloquio, la sobillazione della rabbia popolare. L’impiego della Rete e il vessillo della democrazia diretta, da edificare attraverso internet, hanno enfatizzato questi aspetti, e messo ancor più in crisi le istituzioni, poiché da quell’impiego e da quel tema deriverebbero la negazione del sistema rappresentativo, l’eliminazione della distinzione tra governo e governati, la cancellazione della divisione dei poteri, l’affermazione di un modello di governo impulsivo-populista-plebiscitario. Tutto ciò, com’è evidente ormai, implicherebbe l’annientamento delle attuali istituzioni: per questo il grillismo è stato l’attacco più pesante subito dalla Repubblica italiana negli ultimi vent’anni.
 
Il "ventre" degli italiani (realtà o pregiudizio?)
Perché, quindi, l’impasse di oggi? Perché tutte le attuali forze politiche italiane non hanno idee per governare le sfide della globalizzazione; alcune non si riconoscono nelle istituzioni che dovrebbero guidare, altre, infine, le denigrano e usano l’intimidazione come strumento “antipolitico” di affermazione. Lo sbloccarsi della vicenda del Cavaliere e la fine del “fattore B” non credo che porranno davvero termine a questa impasse. Porterà, forse, un po’ di serenità, sentimento che ci serve, in questo momento, per ragionare sine ira ac studio su ciò che serve all’Italia per uscire dal pantano. Ma il fango che ci avvolge viene da lontano, sia dal punto di vista temporale (la nostra storia) che da quello spaziale (le nuove potenze economiche). In un simile contesto i sacrifici che dovremmo ancora fare per la ripresa, la stabilità, il lavoro potrebbero essere ancora troppo onerosi e impopolari per qualsiasi forza politica: e la pancia degli elettori, in una democrazia, si sa che conta più della verità e dei fatti. Quale leader, quale partito o movimento saprà affrontare la realtà senza farsene condizionare troppo?