Massime e aforismi


“Nel mondo ci sono tutte le buone massime: manca soltanto l’applicazione”
(Blaise Pascal, Pensieri, 380)


Avete una buona massima (o un aforisma) da suggerire? Inviatela (cercar9459@gmail.come, se la riterrò davvero “buona”, ve la pubblicherò in questo elenco. Indicate l’autore, le sue date di nascita e morte oppure se è vivente, possibilmente l’opera da cui è tratta la massima e il vostro nome e cognome. Grazie.




Le mie massime


Non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, durante una guerra e dopo la caccia.
(Otto von Bismarck; ma è stata attribuita anche a Georges Clemenceau) [7/2/2013]



Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo.
(Luigi Einaudi, Corriere della sera del 21 aprile 1913; ringrazio Francesco Amodeo, mio studente, per avermi indicato la citazione) [17/11/2012]




Il massimo trionfo della scienza sembra consistere nella velocità crescente con cui lo stupido può trasferire la sua stupidità da un luogo a un altro. (Nicolas Gomez Davila [1913-1994], In margine a un testo implicito, 1977: ringrazio Giovanna Giuliodori per avermi indicato questo filosofo, vera miniera di aforismi). [9/9/2012]



Il fanciullo che si arrabatta coi barbara, baralipton [formule per memorizzare i modi del sillogismo. Nota mia], si affatica, certo, e bisogna cercare che egli debba fare la fatica indispensabile e non più, ma è anche certo che dovrà sempre faticare per imparare a costringere se stesso a privazioni e limitazioni di movimento fisico, cioè sottostare a un tirocinio psico-fisico. Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare "facilitazioni". Molti pensano addirittura che le difficoltà siano artificiose, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. La quistione è complessa. Certo il fanciullo di una famiglia tradizionale di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psico-fisico; entrando già la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sui suoi compagni, ha un'orientazione già acquisita per le abitudini familiari: si concentra nell'attenzione con più facilità, perché ha l'abito del contegno fisico ecc. Allo stesso modo il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini e di un giovane contadino già sviluppato per la vita rurale. Anche il regime alimentare ha un'importanza, ecc. ecc. Ecco perché molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un "trucco" a loro danno (quando non pensano di essere stupidi per natura): vedono il signore (e per molti, nelle campagne specialmente, signore vuol dire intellettuale) compiere con scioltezza e apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un "trucco". In una nuova situazione, queste quistioni possono diventare asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo strato di intellettuali, fino alle più grandi specializzazioni, da un gruppo sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini conformi, si avranno da superare difficoltà inaudite. (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 12, XXIX, § 2) [30/8/2012]


Il più delle volte, le nostre virtù sono soltanto vizi camuffati. Ciò che scambiamo per virtù spesso altro non è che un insieme di azioni e di interessi diversi che la fortuna o la nostra abilità sanno combinare: non sempre è per valore e per castità che gli uomini sono valorosi e le donne caste. (François de La Rochefoucauld [1613-1680], Massime, 1)


Chiamiamo contro natura quello che avviene contro la consuetudine: non c’è niente se non secondo quella, qualunque cosa sia. Questa ragione universale e naturale scacci da noi l’errore e lo stupore che ci reca la novità. (Michel de Montaigne [1533-1592], Saggi, II, XXX)


Volete che gli altri pensino bene di voi? Non parlatene. (Blaise Pascal, [1623-1662], Pensieri, 44)


Se esageriamo le buone qualità altrui, piuttosto per la stima delle nostre opinioni che per la stima dei loro meriti; vogliamo attirare degli elogi, quando in apparenza siamo noi a tributarli. (François de La Rochefoucauld [1613-1680], Massime, 143)


Non c’è niente di barbaro e di selvaggio in quel popolo, a quanto me ne hanno raccontato, se non che ognuno chiama barbarie quello che non è nei nostri costumi; come veramente sembra che noi non abbiamo altra pietra di paragone della verità e della ragione, che l’esempio e l’idea delle opinioni e delle usanze del paese in cui siamo. (Michel de Montaigne [1533-1592], Saggi, I, XXXI)


Che cos’è in fondo l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, un qualcosa di mezzo tra il niente e il tutto. Infinitamente lontano dall’abbracciare gli estremi, la fine delle cose e il oro principio gli sono invincibilmente nascosti in un impenetrabile segreto, ed egli è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito. (Blaise Pascal, [1623-1662], Pensieri, 72)


Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici. (Arthur Schopenhauer [1788-1860], L’arte di insultare)

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